Nicola Mancino, ex ministro della Giustizia (foto LaPresse)

l'intervista

“Lo Stato non ha trattato con la mafia”. Parla Nicola Mancino

Luciano Capone

“Il processo è stato una vicenda molto dolorosa". L'ex ministro dell'Interno, già assolto, rigetta le accuse di questi anni. "Dopo le stragi non ho avuto nessun atteggiamento più tenero con la mafia, la lotta alla criminalità l'ho dimostrata: Riina è stato arrestato quando io ero ministro"

“Il processo sulla trattativa è stato spazzato via dalle assoluzioni, ma io già ne ero uscito fuori nel 2018 anche se non sarei dovuto proprio entrare. Ho detto sempre la verità, non avevo bisogno di fare falsa testimonianza”. Nicola Mancino è prossimo ai 90 anni e ancora oggi, dalla sua voce, si avverte che è molto provato per questa vicenda giudiziaria che ha segnato gli ultimi dieci anni della sua vita e che è arrivata a coinvolgere, attraverso le intercettazioni, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, morto d’infarto a seguito di una violenta campagna stampa. L’esponente della Dc, che nel 1992-93 è stato ministro dell’Interno, era imputato nel processo sulla cosiddetta Trattativa per falsa testimonianza, ma era stato già assolto in primo grado senza che poi la procura abbia presentato ricorso. Ora sono stati assolti anche gli altri imputati – gli ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello dell’Utri – che a differenza sua erano stati condannati in primo grado. Assolti come Calogero Mannino, che invece aveva scelto il rito abbreviato.

 

“E’ stata una sorpresa – dice Mancino dalla sua casa di Montefalcione, in Irpinia, da dove ha mosso i primi passi in politica prima al seguito di Fiorentino Sullo e poi come braccio destro di Ciriaco De Mita – non perché non mi aspettassi l’assoluzione, ma perché sono state completamente ribaltate le condanne di primo grado. I giudici sono stati coraggiosi”. Come sono stati questi anni? “E’ stata una vicenda molto dolorosa. Non mi aspettavo di essere coinvolto in un procedimento penale di questo tipo, mi sono trovato insieme ad altri coimputati per reati molto diversi. Ora sono stati tutti assolti”. Si è sbriciolata la tesi della Trattativa, del cedimento compromissorio alla mafia. Come ricorda quegli anni? “Fummo sorpresi dalla strage di Capaci, dalla morte del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Fu un evento massacrante. Come poco dopo l’uccisione del giudice Borsellino e della sua scorta. Ma non c’è stato alcun intento di fare accordi con la mafia”.

 

Erano i governi di Amato e Ciampi, con Scalfaro presidente della Repubblica. “Personalità che non avrebbero mai accettato compromessi con Cosa nostra”. Però secondo la narrazione che ha ricostruito quegli anni, lei sarebbe diventato ministro dell’Interno al posto del suo collega di partito Enzo Scotti proprio perché più tenero di lui nella lotta alla mafia. “Ma quale tenero! – ribatte con fermezza Mancino – Io feci sciogliere 54 consigli comunali per infiltrazioni mafiose, la lotta alla criminalità organizzata l’ho dimostrata con la mia azione politica. Sono sempre stato contrario a qualsiasi attenuazione della repressione contro la mafia. Tenga conto di un mio ricordo”, prego. “Riina nelle sue dichiarazioni disse che io ero il nemico numero 1 della mafia. Non c’era morbidezza, ma solo determinazione”. Infatti Totò Riina venne arrestato. “Nel gennaio del 1993, quando io ero ministro dell’Interno”.

 

Ma non è possibile che a trattare con la mafia non fossero le istituzioni, ma gli ufficiali del Ros come Mori e Subranni che agivano autonomamente? Come vedeva all’epoca il lavoro del Ros? “Io ritenevo che il Ros fosse una risorsa nella lotta alla mafia, del resto la determinazione c’è stata e i boss come Riina sono stati arrestati. Non c’è stato un cedimento. Ci sono stati una serie di colloqui che forse avevano uno scopo investigativo”. E perché hanno ricevuto un’accusa così pesante? “C’è stata una serie di colloqui investigativi, forse il Ros è stato preso un po’ di mira. Non è mancata una critica pesante da parte di Martelli”. Alla fine del processo di appello e dopo tutte queste assoluzioni, cosa pensa di questa inchiesta? E’ stato un teorema senza senza riscontri? “Posso solo dire che un grande giurista come il prof. Fiandaca, parlando di alcuni magistrati suoi studenti che hanno impostato l’inchiesta ha detto sin dall’inizio: ‘I miei allievi hanno sbagliato’”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali