Emma Stone arriva al Lido (foto LaPresse)

Popcorn Venezia

In realtà Venezia è piena di donne

Mariarosa Mancuso e Anselma Dell'Olio

Altro che machismo. Buoni motivi che fanno venir voglia di corcare le #MeToo

I primi film del concorso veneziano erano così belli che il critico viziato trova qualche difetto ai fratelli Ethan e Joel Coen, “The Ballad of Buster Scruggs”. Un altro titolo targato Netflix, dove “targato” non vuol dire necessariamente “prodotto”, alcuni sono solo distribuiti: è la differenza che, parlando di serie tv, passa tra le ultime deludenti stagioni di “Black Mirror” e l’energia sprigionata da “The End of the F***ing World”. Sono sei ballate western, ammettiamo volentieri che il western non è il nostro genere preferito (ma siamo disposti a trattare: Damien Chazelle con “Il primo uomo” ci ha portati due ore alla conquista della luna, abbiamo resistito chiudendo ogni tanto gli occhi e pensando a “La La Land”).

 

Nati come serie tv, i sei episodi di Buster Scruggs sono stati ridotti per stare in due ore e un quarto. Ogni storia è indipendente, cambiano gli attori e le atmosfere: si riduce il rischio di annoiare, resta il pericolo di non riuscire a far montare il dramma, o la commedia, o il racconto di fantasmi. Una segue un teatrino itinerante, che viene montato ogni sera per spettatori sempre meno numerosi. Recita un ragazzino senza gambe né braccia, che con accento britannico recita va da Shakespeare alla Bibbia (in mezzo, un repertorio di celebri brani da fine dicitore).

 

Purtroppo anche ai tempi dei pionieri in corsa verso l’est la concorrenza proponeva spettacoli più beceri (ma redditizi per l’impresario). In questo caso, il Cappone Calcolatore (o Pitagora Pennuto) che sa fare di conto. Il freak dalla voce meravigliosa finisce la sua carriera malissimo. Un’altra storia ha per protagonista due cowboy canterini, una terza racconta una rapina in banca finita male. James Franco si trova ripetutamente il cappio al collo (la seconda fa lo spiritoso con i vicini: “Prima volta?”). Il film ha alti e bassi, ogni tanto abbiamo chiuso gli occhi e pensato intensamente ai Coen di “Ave, Cesare!”.

 

“The Mountain” di Rick Alverson (musicista in un gruppo battezzato “Gregor Samsa” come l’uomo scarafaggio di Franz Kafka, basta per alzare la guardia) è finora l’unico film inguardabile del concorso. Bello e perfido – a sorpresa, non siamo fan del regista francese – “Doubles Vies” di Olivier Assayas. Morale della favola: i romanzieri devono inventare, se scrivono della propria vita mascherandola appena succedono un sacco di guai. Sullo sfondo, il dibattito tra critici e blogger, tra lettori su carta e lettori su kindle (ma loro, essendo parigini, lo chiamano deliziosamente “le kindél”).

 

Fuori concorso, il remake di “E’ nata una stella”, opera prima di Bradley Cooper (anche attore nel ruolo del Pigmalione alcolizzato) con Lady Gaga cameriera dalla gran voce. Una recensione uscita anzitempo sfidando l’embargo (e poi ritirata) annunciava “una pietra miliare nella storia del cinema”. Visto il film, era una disperata mossa pubblicitaria.

 

Mariarosa Mancuso

 


 

Ci sarà pure una sola regista presente nel concorso Venezia 75 ma su tutti i media impazzano le donne alla Mostra. Nugoli di ragazzine hanno passato la notte accanto al Red Carpet, proteggendosi con gli ombrelli contro l’umido, per non perdersi il passaggio di Emma Stone; idem per Lady Gaga, arrivata per “E’ nata una stella”. “The Favourite” ha tre protagoniste: la Stone è la poverissima Abigail che scalza la ricca Rachel Weisz-Sarah; ma la più indimenticabile è Oliva Colman come la furba, viziata Regina Anna. Elisa Isoardi ha imperato pure lei sui media, più come fiancée di Salvini che per il premio Diva & Donna, ahinoi. Vanessa Redgrave è dappertutto, tra Leone d’oro alla carriera (abitone monacale nero con una cicogna bianca ricamata sulla tunica e cioce con la suola di gomma bianca) e il film “The Aspern Papers” da Henry James, purtroppo non diretto da James Ivory. “ROMA” di A. Cuarón pullula di donne che hanno cresciuto l’autore. La famiglia ruota intorno alla tata indigena Cleo (il film è dedicato alla Cleo vera) e la madre rimasta sola quando il marito abbandona lei e i quattro figli per un’altra. Nella presentazione della giuria, all’inevitabile domanda sul “machismo” di una Mostra con poche registe femmine, Barbera ha parlato dell’esiguo numero di film proposti alla Mostra e diretti da donne; se abbiamo sentito bene, l’1 per cento del totale. Guillermo Del Toro ha spazzato via la storia delle quote ma pensa che la “conversazione” aperta con #MeToo “dopo secoli di silenzio” debba servire a creare più opportunità for us girls. Da parte sua, tre dei cinque film in cantiere per la sua casa di produzione saranno dirette da donne. Un problema chiave sempre taciuto, sono le donne stesse che stentano a immaginarsi e a proporsi in un ruolo di comando come quello registico. Muoviamo il culetto, ragazze. L’altra sera, salutato Carlo Brancaleoni (Raicinema, film di esordio e sperimentali) un amico ci presenta Jo Squillo e tre sodali, tutte con un patch di strass alla pirata “per non chiudere un occhio sulla violenza alle donne”. Con lei c’era Gessica Notaro, ex Miss Romagna e soubrette, sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato, Giusy Versace, atleta paralimpica e deputata di FI, Francesca Carollo, inviata Mediaset e autrice di “Le amiche che non ho più” sul femminicidio. Ricordarsene quando vien voglia di corcare le #MeToo.

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