La popstar Lady Gaga sarà nelle sale in queste settimane con il film "A Star is Born" (Foto LaPresse)

Lady Gaga risanata

Simonetta Sciandivasci

L’epica della malattia è l’ultimo capitolo della transizione della pop star, da icona a santino

Lady Gaga ha una faccia da poco (intendiamoci: da poco tempo). Più o meno da quando si è ammalata di fibromialgia (meglio, da quando ha deciso di dire: sono malata, scusatemi, non ce la faccio, mi fa male tutto), che è tremenda perché irrigidisce e strema il corpo, ossessiona il cervello, infiacchisce lo spirito, non si cura ma si doma e quando c’è non si vede, tanto che fino a poco tempo fa chi ne soffriva non veniva creduto, era un “malato immaginario”. E c’era bisogno di una testimonial. Ed è arrivata lei, che già aveva fatto palestra di testimonianza di pubblica utilità dicendo d’aver sofferto di anoressia e andando a suonare ai gay pride e dicendo ai suoi fan “siete i miei piccoli mostri”, intendendo che dovevano tirar fuori tutte le loro mostruosità, cioè le autenticità più ardite, insomma un ben infiocchettato invito a essere sé stessi, il ritornello dei reality show.

 

Prima, quando circolava vestita di bistecche di carne cruda, di sigarette, di perline, di fettucce, quando il suo corpo era un manichino che rendeva indossabili tutte le cose del mondo, Lady Gaga non aveva una faccia perché la nascondeva, la camuffava, la truccava, la stravolgeva (soprattutto la stravolgeva) e tutta la sua estetica sembrava essere questo: lei che si spossessava di sé per offrirsi alla musica e al personaggio con il quale aveva deciso di suonarla. Cantava: “Voglio la tua bruttezza, voglio la tua malattia, il tuo amore, il tuo dramma, voglio tutto” (Bad Romance, 2009). Cantava: “Non siamo solo arte per Michelangelo”, anche se poi lei lo era, o almeno ci provava, o così le veniva: era una ragazza fatta solo di arte. Di travestimento. Era un personaggio. La persona era sotto, ma non si vedeva.

 

Le importava solo di spiazzarci, straniarci, stranirci, disorientarci. Poi è cambiato qualcosa fuori di lei, tra di noi, nel mondo e ai personaggi s’è preso a domandare che fossero, il più possibile, persone. Lady Gaga s’è levata la maschera dell’arte e s’è messa quella dell'autenticità. L’altro giorno, all’Elle Annual Woman in Hollywood Celebration (uno di quegli eventi dove gli uomini restano fuori dalle foto di gruppo e le donne sono vestite male), al quale s’è presentata in giacca e pantaloni, ha detto: “Cosa significa essere donna a Hollywood? Non siamo solo oggetti per intrattenere il mondo.

 

Noi donne di Hollywood siamo delle voci. Abbiamo pensieri profondi e idee e valori in cui crediamo e abbiamo il potere di parlare e di ribellarci quando veniamo zittite”. Poi ha parlato di quello che s’aspetta dal futuro e cioè scuole che mettano a disposizione degli alunni più terapeuti, insegnanti specializzati in salute mentale e tanti saluti alla terapia dell’estrinsecazione del mostro: andate tutti in cura e arrivederci, normalizzatevi, mettetevi i pantaloni, siate seri, basta pagliacciate e dischetti. Lady Gaga è diventata una donna di Hollywood non tanto perché ha fatto un film, A star is born (è nelle sale da poco, è bellissimo, lei è bravissima), quanto perché è diventata una militante di nobili cause.

 

Non ha mancato, nel suo arrembante discorso dell’altro giorno, di specificare d’essere stata violentata e che anche se ancora non si sente pronta per denunciare i suo violentatore, è pronta a lottare contro la violenza sulle donne. Per questo s’è messa i pantaloni. Della fibromialgia non si conoscono le cause, ma le aggravanti sì: lo stress, il dispiacere. Lena Dunham, che dieci giorni fa ha confessato su Instagram di esserne affetta, ha detto che le si sono aggravate le fitte non appena ha appreso dell’elezione di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema.

 

La malattia rende libere, incoraggia il coraggio, spinge, esorta all'intervento. E’ il soggetto che sublima e giustifica l’autonarrazione. Il legante più potente (più della fraternità, più dell’empatia). Lady Gaga s’è levata la maschera ed è rimasta a viso scoperto. Cioè una faccia in prestito, che si offre a un pubblico e sulla quale sono incise tutte ma proprio tutte le giuste cause che aggradano il pubblico.

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