Il gran programma del Vaticano III per una Chiesa democratica

In gioco non c'è l'eredità di Papi santi ed emeriti, ma lo stesso Concilio Vaticano II. In Germania lo si vuole superare, anche a costo di uno scisma

Matteo Matzuzzi

Il Sinodo tedesco vota le sue proposte rivoluzionarie da sottoporre all’approvazione “del Papa o di un Concilio”. L’obiettivo è di fare in modo “che non comandi più uno solo”

Alla fine, la durata del Sinodo tedesco sarà pari a quella dell’ultimo Concilio, mese più mese meno. Lanciato tra le fanfare e i rulli di tamburo il 1° dicembre del 2019, avrebbe dovuto concludersi entro l’ottobre del 2021, ma di rinvio in rinvio, e non solo a causa della pandemia, il traguardo sarà tagliato il prossimo anno, quando inizieranno a vedersi le carte del Sinodo universale sulla sinodalità convocato, stavolta, dal Papa. Siamo entrati nel tratto finale, gli ostacoli possono spuntare come sempre all’improvviso, ma il quadro è chiaro: dalla Germania arriverà a Roma la richiesta di cambiare radicalmente la Chiesa. Non un semplice maquillage, una riforma, un aggiustamento: i cahier de doléances che il presidente della Conferenza episcopale mons. Georg Bätzing metterà sul tavolo dei dicasteri vaticani sono pesanti, portati a Roma da un vento impetuoso che da oltralpe si fa già sentire oltretevere. “Vogliamo una Chiesa nella quale il potere sia condiviso e non rimanga più nelle mani di uno solo. Vogliamo che nella Chiesa siano applicati l’uguaglianza dei diritti, l’uguaglianza della dignità di uomini e donne. Vogliamo che nella Chiesa sia accettata la differenza e la molteplicità di genere”, ha detto il battagliero numero uno dei vescovi tedeschi.

 

“E’ importante riconoscere i segni dei tempi e percorrere nuove strade”, ha aggiunto il cardinale Reinhard Marx. I vescovi sono quasi tutti uniti nel constatare “la profonda crisi” in cui versa la Chiesa; siamo in mezzo a “convulsioni che minacciano di paralizzare la sua stessa esistenza”. Il cammino sinodale “vuole dare risposte” a questo momento oscuro. I rapporti sugli abusi vecchi di decenni vengono squadernati davanti alle telecamere, i presuli fanno il mea culpa e i giornalisti contano quanti casi di “copertura” sono addebitabili a questo o a quel vescovo, con il Papa emerito che finisce nel mirino – “Deve scusarsi”, gli hanno intimato i monsignori Bätzing e Marx, non soddisfatti neppure della lettera che Joseph Ratzinger ha diffuso al mondo in risposta al dossier commissionato dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. “Troppo spirituale ed escatologica, chiedete alle vittime se sono soddisfatte della risposta”, hanno controbattuto dalla Germania. E’ chiaro che lui, Benedetto XVI, è “un ostacolo per il percorso sinodale tedesco”, ha detto al canale americano Ewtn mons. Georg Gänswein: “Una cosa è chiara: certi obiettivi cui mira il Cammino sinodale sono qualcosa per cui la persona e l’opera di Benedetto si frappongono. E c’è questo grande, grandissimo pericolo che tutto ciò che ha a che fare con la pedofilia e gli abusi venga ora preso per aprire prima questo Cammino e poi percorrere quella strada”. La vergogna per gli abusi diventa la spinta per la radicale riforma. In gioco, ha scritto Roberto Regoli sul Wall Street Journal, c’è il modello che la Chiesa intende adottare per il futuro. In Germania (ma non solo) c’è chi attribuisce gli abusi a una “crisi sistemica” e incolpa la Chiesa. Scrive Regoli che secondo tale filone di pensiero, questa crisi dovrebbe essere un pretesto per cambiare aspetti essenziali della Chiesa. Da notare le richieste del Cammino sinodale tedesco o della commissione Sauvé in Francia, inquadrate come soluzioni alla crisi”. 

 

“Sogno una Chiesa partecipativa, equa di genere e in cammino insieme alla gente”, ha ribadito mons. Bätzing. Tutto quanto deciso a Francoforte è stato approvato a grandissima maggioranza, e non solo dalla nutrita e dinamica componente laica che in Germania conta parecchio: i due terzi e oltre dei vescovi – soglia che secondo l’agenzia cattolica tedesca Kna è stata imposta dal Vaticano per evitare che decisioni cruciali fossero adottate a maggioranza semplice – hanno dato il via libera ai documenti più problematici, quelli che avevano fatto sobbalzare perfino il cardinale Walter Kasper, fine teologo riformista che da mesi va suonando l’allarme per quel che accade nella sua patria. “Molti potrebbero chiedersi se tutto questo è ancora cattolico”, aveva detto lo scorso settembre, individuando nel percorso tedesco “il tentativo di reinventare la Chiesa con l’aiuto di un erudito sostegno teologico e teorico”. Pur osservando che in discussione ci sono molte cose giuste, Kasper notava però che più di un documento all’attenzione dei partecipanti all’assemblea “chiaramente devia dai punti fondamentali del Vaticano II, per esempio nella comprensione sacramentale della Chiesa e in relazione all’episcopato”. 

 

Fine del celibato sacerdotale, ordinazione delle donne, elezione dei vescovi e benedizione delle coppie omosessuali sono tutti punti di un disegno più grande che ha come obiettivo dichiarato la democratizzazione della Chiesa. E il primato petrino? “Roma non è la Chiesa del mondo”, ha tagliato corto mons. Bätzing, sulla scia di quanto disse il suo predecessore Reinhard Marx allorché si trattò di discutere del riaccostamento dei divorziati alla comunione, nel doppio drammatico Sinodo sulla famiglia del biennio 2014-2015: “Non sarà Roma a dirci cosa dobbiamo fare in Germania”. Nei giorni scorsi è stato tratto il dado, in un’urna solo formalmente segreta, ché la corsa a dichiarare il proprio sostegno alla svolta era affollata: si è passati alle votazioni e il risultato è stato quello atteso. Tanto per cominciare, è arrivato il via libera alla bozza che porta al celibato facoltativo e quindi all’ordinazione di uomini sposati. Ottantasei per cento di favorevoli. Successivamente, è stato approvato il testo sulla “non esclusione delle donne dai ministeri ordinati”, e cioè l’accesso al diaconato e in futuro al sacerdozio. Terzo, sì all’elezione dei vescovi attraverso un sistema che prevede la preparazione di una lista da sottoporre al Vaticano stilata da “un organo decisionale laico unitamente al capitolo della cattedrale” della diocesi vacante. Scontato, poi, il consenso alla bozza che prevede “un nuovo approccio al potere”. Lo scorso ottobre, 168 partecipanti su 214 si erano espressi a favore di una profonda revisione del tradizionale insegnamento relativo alla morale sessuale, approvando il testo di una delle commissioni operative che chiedeva esplicitamente la benedizione sacramentale delle coppie formate da persone dello stesso sesso. E ciò nonostante la risposta negativa che Roma aveva dato lo scorso marzo all’esplicita richiesta in tal senso. Risposta approvata dal Pontefice, seppure con sofferenza e – a quanto hanno scritto personalità a lui molto vicine – con tentennamenti e dubbi. Un’incertezza che il Sinodo tedesco ha voluto sfruttare per inserirsi e portare a casa un primo risultato, anche perché mentre il Papa diceva di no, in Germania i vescovi protestavano platealmente, chi dicendo che avrebbe proceduto secondo coscienza e chi appendendo bandiere arcobaleno all’esterno delle poco affollate chiese. La sfida, insomma, diventava delicata perché a essere messo nel mirino era direttamente il Pontefice, che quella risposta non gradita sulle sponde del Reno l’aveva approvata. Tutto quanto stabilito tra gli applausi a Francoforte sarà spedito a Roma perché “il Papa o un Concilio” prendano le dovute decisioni, magari in concomitanza con il Sinodo universale che celebrerà il suo culmine nell’autunno del 2023. 

 

Sono state riunioni importanti, quelle tenutesi a febbraio, dalle parole si è passati ai fatti: non più solo dichiarazioni e interviste, ma documenti scritti. Proposti e approvati da più di duecento delegati. La Chiesa tedesca fa sul serio, convinta di essere solo la motrice di un treno che corre spedito lungo i binari del progresso cattolico mondiale: “Non siamo soli nel cammino, altri sono come noi”, ha infatti detto mons. Bätzing citando l’America latina e i Caraibi, la Spagna e l’Australia.  Al percorso tedesco, però, manca ancora la benedizione romana. E’ un paradosso certo, per chi ha convocato quell’assise con l’obiettivo di sganciarsi dal carro vaticano su questioni non banali. Eppure nulla si può fare senza l’avallo del Pontefice, a meno che non si voglia strappare e provocare uno scisma che non si sa quanto sarebbe conveniente in primo luogo proprio per la Chiesa cattolica di Germania. E’ un fatto che a due anni e più dall’avvio del Sinodo, non sia mai arrivato alcun segnale distensivo o di sostegno da Francesco. Anzi, nel giugno del 2019 fu spedita da Santa Marta una lunga lettera firmata dal Papa in persona in cui si mettevano in guardia i vescovi allora capitanati dal cardinale Marx, chiedendo loro di pensare tre volte prima di andare avanti sulla strada a scorrimento veloce imboccata. “Gli interrogativi presenti, come pure le risposte che diamo, esigono, affinché ne possa derivare un sano aggiornamento, una lunga fermentazione della vita e la collaborazione di tutto un popolo per anni. Ciò porta a generare e mettere in atto processi che ci costruiscano come popolo di Dio, più che la ricerca di risultati immediati che generino conseguenze rapide e mediatiche, ma effimere per mancanza di maturazione o perché non rispondono alla vocazione alla quale siamo chiamati”. Rischioso, a giudizio del Papa, avvitarsi in “serie e inevitabili analisi”, perché si finisce con il “cadere in sottili tentazioni alle quali ritengo necessario prestare attenzione e cura, poiché, lungi dall’aiutarci a camminare insieme, ci manterranno aggrappati e installati in ricorrenti schemi e meccanismi che finiranno con lo snaturare o limitare la nostra missione; e per di più con l’aggravante che se non ne saremo consapevoli, potremo finire col girare attorno a un complicato gioco di argomentazioni, disquisizioni e risoluzioni che non faranno altro che allontanarci dal contatto reale e quotidiano con il popolo fedele e il Signore”. Seguivano lettere preoccupate del prefetto dei Vescovi, il cardinale Marc Ouellet, e del presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, mons. Filippo Iannone, in cui si dava l’altolà: i vostri piani “violano le norme canoniche” e “alterano le norme universali e dottrinali della Chiesa”

 

Era il settembre del 2019. Il Sinodo tedesco, che nelle dichiarazioni di apertura fu dichiarato “vincolante”, è andato avanti come se nulla fosse. Con i suoi comitati e forum, con le testimonianze di laici e religiosi stanchi della cappa oscurantista che sovrasta la Chiesa e delle catene che tengono il presunto dinamismo tedesco legato alla Roma bigotta e perennemente con lo sguardo rivolto al passato. Presunto, il dinamismo, perché il quadro della Chiesa in Germania è drammatico: vocazioni in calo costante, partecipazione alla messa domenicale che è passata dal 9,1 per cento del 2019 al 5,9 per cento del 2020. Gli abbandoni che hanno toccato quota 221.390 nell’ultimo anno. Sempre più gente se ne va, chi perché indignato dagli scandali sessuali (la teoria che prevale presso le alte gerarchie locali), chi perché molto più razionalmente non ne può più di versare la gabella annuale, la tassa per tutti i battezzati registrati come cattolici o protestanti, la celeberrima Kirchensteuer che per i cattolici ammonta all’8 per cento netto del reddito dichiarato. Chi non paga, è fuori dalla comunità. Benedetto XVI, nel libro Ultime conversazioni del 2016, fu chiaro: “Ho grossi dubbi sulla correttezza del sistema così com’è. Non intendo dire che non ci debba essere una tassa ecclesiastica, ma la scomunica automatica di coloro che non la pagano, secondo me, non è sostenibile”. Avanti, nonostante tutto. Qualche giorno fa, quasi riprendendo in mano il senso della missiva papale e dei documenti della curia, il nunzio apostolico in Germania, mons. Nikola Eterovicć, ribadiva il concetto davanti all’uditorio sinodale riunito a Francoforte: “Il Papa è il punto di riferimento e il centro di unità per oltre 1,3 miliardi di cattolici nel mondo, 22,6 milioni dei quali vivono in Germania”. E’ vero, ha aggiunto il nunzio, che il Pontefice parla spesso di sinodalità, ma è altrettanto assodato che vede con orrore “parlamentarismo, formalismo, intellettualismo e clericalismo”. Monito ascoltato con la dovuta cortesia ma sostanzialmente rispedito al mittente, ché è finita l’epoca delle interferenze. “In quest’assemblea sinodale per la prima volta abbiamo visto che tutti i forum stanno portando al voto non solo testi di base che servono come orientamento generale, ma anche ‘testi di azione’ che comportano cambi concreti”, ha detto mons. Franz-Josef Bode, vescovo di Osnabrück e tra i più convinti della necessità di andare al redde rationem con Roma. Fu proprio Bode, anni fa, a chiedere – oltre al diaconato femminile e all’assegnazione alle donne di “posizioni di leadership nella Chiesa”, la benedizione delle coppie omosessuali: “Non dovremmo essere più giusti, visto che c’è molto di positivo, buono e corretto in questo? Non dovremmo, per esempio, considerare qualcosa, magari una benedizione?”. 

 

Lo scorso gennaio, la tv pubblica Ard ha trasmesso in prima serata un documentario con 125 brevi racconti di vita. “Wie Gott uns Schuf”, “Come Dio ci ha creati”. Sottotitolo: “Coming out in der Katholische Kirche”, “coming out nella Chiesa cattolica”. Una serie di testimonianze, preti e suore, catechisti e teologi, giovani e meno giovani, laici impegnati a vario titolo che dichiaravano il proprio orientamento sessuale “fluido” e “non binario” con l’obiettivo esplicito di ottenere il riconoscimento delle persone lgbtiq+ nella Chiesa. Il vescovo di Aachen, mons. Helmut Dieser (che è anche capo del forum sinodale su amore e sessualità) si è detto colpito e felice: “L’iniziativa indica che si sta lavorando a creare un clima nella Chiesa libero da ogni paura. Nessuno può essere discriminato, criminalizzato, marginalizzato a causa della sua identità sessuale. Stiamo imparando a comprendere più profondamente che l’orientamento e l’identità sessuali sono parte della persona e ogni persona è amata incondizionatamente da Dio”. Nel calderone finisce di tutto: si voleva discutere perfino di inserire “l’asterisco di genere” nei documenti sinodali, rendendo i sostantivi neutri, né maschili né femminili. Un esempio? “Freund” e “Freundin”, amico e amica in lingua tedesca. Perché non scrivere “Freund*in”? s’è domandato qualcuno attento alla correttezza di genere. Proposte vecchie di un decennio, qualche mese fa un’importante associazione laicale giovanile aveva anche ipotizzato di posporre l’asterisco alla parola “Dio”, che come è noto “non è né maschio né femmina”. Inconcepibile, per il vescovo di Ratisbona, Ruldolf Voderholzer, il più attivo nel contestare il processo sinodale tedesco così come concepito. Discutere di asterischi significherebbe impegnarsi “per l’ideologia di genere e quindi contraddire l’antropologia basata sulla Bibbia”. Non proprio quisquilie. Se ne dibatterà a settembre, quando sarà pronta la bozza sulle persone transessuali e intersessuali. Proprio mons. Voderholzer è il riferimento della linea alternativa, di minoranza (quattro-cinque vescovi), che si oppone a quello che ha definito come “il dispotismo autoritario” che guida il processo sinodale in Germania.   

 

Per capire la portata di quanto sta avvenendo in Germania è utile leggere cosa si è deliberato e in questo ha ragione il vescovo Bode, quando afferma che qui si va ben oltre i soliti documenti protocollari pieni di buone intenzioni e poco altro. Si prenda il testo “Donne nel ministero sacramentale”. “Nella Chiesa cattolica romana, sarà avviato un processo trasparente, guidato da una commissione, che proseguirà in modo sostenibile il cammino sinodale avviato in Germania. Sarà istituita una commissione chiamata a occuparsi esclusivamente della questione relativa al ministero sacramentale delle persone di ogni genere”. Un testo talmente spinto che è stato riconsegnato al forum che l’ha proposto al fine di una revisione e di una successiva votazione. Il motivo? Va a intaccare regole ecclesiastiche universali: non è nelle possibilità della Chiesa tedesca, infatti, decidere che oltralpe le donne possono essere ordinate diacono e dunque sacerdote. Anche perché Francesco ha ribadito più volte che l’ammissione delle donne al sacerdozio “è una questione chiusa” e a chiuderla è stato Giovanni Paolo II nel 1994. C’è chi non si arrende comunque: “Il Papa ha detto che la questione dell’ordinazione delle donne è un capitolo chiuso perché così ha deciso Giovanni Paolo II? Beh, Giovanni Paolo II è morto”, disse agli albori del pontificato bergogliano suor Theresa Kane, già presidente della Leadership Conference of Women Religious (Lwcr) sul finire degli anni Settanta. Sul diaconato femminile si può discutere, forse nell’antichità e in particolari aree del vicino oriente c’erano donne diacono anche se non si sa esattamente cosa facessero. Commissioni vaticane hanno studiato e approfondito, senza giungere a un risultato soddisfacente. 

 

Prima delle donne, però, viene il celibato sacerdotale. E’ su questo aspetto che la miccia può essere accesa e può far divampare l’incendio. “E’ imperativo” discutere la regola del celibato per i sacerdoti, ha detto il cardinale Marx in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, perché “vivere da soli non è così facile”. L’arcivescovo di Monaco e Frisinga assicura di non voler mettere in discussione lo stile di vita scelto da Gesù, “ma certamente mi chiedo se debba essere una precondizione assoluta per ogni prete. Per alcuni sacerdoti sarebbe meglio sposarsi, non solo per ragioni sessuali ma anche perché sarebbe meglio per la loro vita, e poi non sarebbero soli. E se qualcuno dicesse che senza l’obbligo del celibato si sposeranno tutti, io rispondo che si sposassero tutti. Sarebbe almeno un segno che le cose così come sono ora non funzionano”. L’ideale, ha aggiunto Marx, è la prassi ortodossa, cioè la coesistenza di preti celibi e preti sposati. Il 6 febbraio, un sondaggio ha rilevato che il 74 per cento dei cattolici tedeschi è favorevole a rendere volontario il celibato. Questione delicatissima, perché un Papa santo sul tema è stato netto, come dimostra l’udienza concessa l’11 luglio del 1970 al cardinale Bernard Alfrink, arcivescovo di Utrecht e grande protagonista del Concilio. Alfrink, al termine della conversazione nuovamente propose a Paolo VI di mantenere il celibato sacerdotale e di cercare accanto a esso vocazioni di uomini maturi sposati. “Pensa vostra eminenza che una simile legge della Chiesa resisterà? O si dirà ‘si può essere sposato e buon prete’”? rispose il Papa, con tanto di solenne chiosa: “Preferirei essere morto o dare le dimissioni!”.

 

In ballo non ci sono le eredità di Papi santi e di Papi emeriti, visti ormai come ostacoli alla marcia inarrestabile verso i nuovi orizzonti. In gioco c’è il Concilio Vaticano II: pochi ormai, tra i grandi riformatori di Germania, vi si richiamano. Nel processo sinodale tedesco se ne parla pochissimo perché l’intento è di superarlo. Andare oltre, spingersi più al largo. L’ha capito subito Walter Kasper quando, già lo scorso settembre, appoggiava la controproposta di mons. Voderholzer spiegando che questa “si pone chiaramente sulle fondamenta del Concilio, che dovrebbe essere comune a tutti noi, riconosce la questione aperta che il Concilio ha lasciato e cerca di continuare sulla strada del Concilio, sulle sicure basi del Concilio. Non è necessario capovolgere tutto. Si può andare oltre il Concilio, nello spirito del Concilio, senza entrare in conflitto con gli insegnamenti della Chiesa”. A Roma sanno che andare al muro contro muro non serve, si otterrebbe l’effetto opposto, rafforzando il vento che già impetuoso soffia a Francoforte. Il tentativo è quello di legare le istanze tedesche al grande Sinodo universale convocato dal Papa, diluendole nel grande fiume di proposte che giungeranno dal Popolo di Dio infallibile in credendo da ogni parte del mondo. Un segnale lo si è avuto lo scorso gennaio, quando il presidente della Conferenza episcopale tedesca è stato ricevuto dal Papa. Prima di allora, in Lussemburgo, si era svolto un incontro a tre fra lo stesso Bätzing, il segretario generale del Sinodo (il cardinale Mario Grech) e il relatore del prossimo Sinodo, il cardinale Jean-Claude Hollerich. Sarà istituito un gruppo di lavoro misto “per confrontarci e informarci sui cammini”, ha detto mons. Bätzing. E’ proprio Hollerich l’uomo-chiave: gesuita, progressista, presidente in carica della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea, è colui che può rappresentare il raccordo tra la Germania e Roma. Molte delle richieste del percorso sinodale d’oltralpe le condivide: è favorevole a rivedere l’approccio della Chiesa sulla sessualità, non ha nulla in contrario rispetto ai viri probati, a un maggiore coinvolgimento delle donne nella vita della Chiesa, alla fine del celibato obbligatorio. Ma il tutto deve essere fatto con prudenza e non all’improvviso, perché altrimenti “ci sarebbe un grosso pericolo di scisma”. Hollerich guarda oltre l’ombelico tedesco e pensa a cosa accadrebbe in Africa o nelle terre di nuova evangelizzazione, ancora strutturalmente fragili, se si calassero dall’alto riforme epocali senza la necessaria stabilità. L’obiettivo, insomma, è quello di cambiare ma con moderazione, adelante con juicio. Senza mostrare i muscoli lanciando a mesi alternati ultimatum a Roma. “Ho l’impressione che i vescovi tedeschi non comprendano il Papa, che non è un liberal bensì un radicale. E’ dalla radicalità del Vangelo che viene il cambiamento”, ha detto Hollerich a Herder Korrespondenz. Non altro.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.