Il Papa a Baghdad: "Riconoscimento, diritti e protezione a tutte le comunità religiose"

Gran discorso di Francesco alle autorità irachene, prima di recarsi nella cattedrale siro-cattolica. Il ricordo degli yazidi, "vittime innocenti di insensata e disumana barbarie"

Matteo Matzuzzi

"La partecipazione dei cristiani alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all'armonia del paese"

“Vengo come pellegrino per incoraggiarli nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società”, ha detto il Papa salutando i fedeli cattolici nel suo primo discorso ufficiale in terra irachena, nel palazzo presidenziale di Baghdad. Ecco, subito chiarita, la cifra del viaggio, uno dei più delicati e rilevanti degli ultimi decenni: un pellegrinaggio senza obiettivi politici o geopolitici, senza altro intento che non sia quello di portare Pietro tra i martiri del nostro tempo, testimoni con le cicatrici ancora ben visibili della violenza perpetrata in nome della fede, costretti ad abbandonare tutto perché marchiati con il segno di “nazareno”. Francesco dice che “negli scorsi decenni l’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee culture diverse” e tutto ciò “ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale”. E’ questo il punto: per anni si è, a ragione, mostrato le immagini delle rovine, degli squarci nelle chiese, della distruzione portata nelle città e nei villaggi, delle lapidi tombali fatte a pezzi in ottemperanza a deliranti proclami. Ma le macerie più pesanti, quelle che non è possibile rimuovere con una semplice gru, sono quelle che hanno a che fare con “le ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni per guarire”. Il pensiero del Papa va allora agli yazidi, “vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio”. Chiede dialogo, il Papa, sapendo che l’opera richiederà “fatica e impegno da parte di tutti per superare rivalità e contrapposizioni”. 

 

Il punto di partenza è tenere sempre a mente “l’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio e creatore”. E’ in base a questo principio che “la Santa Sede, in Iraq come altrove, non si stanca di appellarsi alle autorità competenti perché concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione”. Sembra di risentire l’eco di quanto disse il cardinale Jean-Louis Tauran poco meno di tre anni fa, nell’ultimo discorso ufficiale da lui tenuto prima della morte. Si trovava a Riad, capitale del wahabismo saudita e il grande esperto di islam nonché presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso, chiarì davanti ai maggiorenti del regno e della Lega musulmana che “tutte le religioni devono essere trattate allo stesso modo, senza discriminazioni, perché i loro seguaci, insieme ai cittadini che non professano alcuna religione, devono essere trattati equamente”. Sottolineava ieri il Papa che “anche in Iraq la chiesa cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace”, ben sapendo che “l’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del paese”.

 

Poco dopo, incontrando i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i catechisti nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, il Papa si è soffermato sulla complessità del tessuto per così dire “ecclesiastico” iracheno, con le varie chiese non di rado in competizione: “L’amore di Cristo chiede di mettere da parte ogni tipo di egocentrismo e di competizione; ci spinge alla comunione universale e ci chiama a formare una comunità di fratelli e sorelle che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri. Penso –  ha detto Francesco –  all’immagine familiare di un tappeto. Le diverse chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico bellissimo tappeto”.

 

Domani il Pontefice incontrerà la massima autorità sciita del paese, il Grande ayatollah Ali al Sistani, a Najaf. Poco dopo, interverrà all’incontro interreligioso presso la Piana di Ur, occasione propizia per ricordare che quanto scritto nell’enciclica Fratelli tutti ha ora bisogno di passare dagli scaffali in cui si conservano i libri di pregio e i bei documenti alla messa in pratica nel concreto della vita quotidiana. L’Iraq con le sue ferite, le sue guerre e la miriade di confessioni religiose che lo permeano è il terreno ideale. Nel pomeriggio la messa nella cattedrale caldea di Baghdad. Prima di proseguire il pellegrinaggio nelle moderne catacombe della piana di Ninive, con l’Angelus a Qaraqosh e la messa a Erbil.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.