Papa Franesco a bordo dell'aereo che lo porterà in Cile (foto LaPresse)

La pañolada davanti alla cattedrale di Santiago accoglie il Papa in Cile

Matteo Matzuzzi

Bombe, proteste e vescovi insultati. Per il Pontefice un viaggio difficile

Roma. Hanno tirato un comprensibile sospiro di sollievo, le autorità peruviane, quando hanno avuto conferma dai tecnici che l’incendio divampato sabato a Chorillos ai piedi del “Cristo del Pacifico”, l’enorme statua alta 27 metri che ricorda il Redentore di Rio de Janeiro, era dovuto a cause accidentali. Un cortocircuito che nulla ha a che vedere con quanto sta capitando qualche migliaio di chilometri più a sud, in Cile, dove da giorni una serie di ordigni esplosivi posti dinanzi alle chiese sta rendendo complicato il viaggio del Papa che inizierà ufficialmente con l’arrivo a Santiago.

 

Qualche mese fa si sarebbe detto che la doppia tappa latinoamericana non avrebbe destato particolari motivi di preoccupazione, i contesti “caldi” erano altri. Ma poi una serie di eventi, dichiarazioni e complicazioni ha chiarito che la ventiduesima missione di Francesco fuori dalle mura vaticane non sarebbe stata semplice, per usare le parole del segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin. È proprio il Cile a rappresentare il problema principale e non solo per l’ostilità della minoranza Mapuche, che ha protestato perché Francesco celebrerà la messa su quello che rivendicano essere il loro territorio.

 

Sabato, sulla Nación di Buenos Aires è intervenuto padre Fernando Montes, già rettore per diciassette anni dell’Università Alberto Hurtado, provinciale gesuita in Cile e compagno di studi di Jorge Mario Bergoglio. Montes ha rilevato che “la chiesa cattolica, e in particolare la sua gerarchia, giocò qui un ruolo molto importante nella difesa dei diritti umani durante la dittatura. Finita quest’epoca, la chiesa era l’istituzione più rispettata nel paese, con più dell’80 per cento di approvazione. Oggi è una delle meno riconosciute in America latina”. Un crollo verticale, dovuto a una molteplicità di fattori, dall’introduzione accelerata della modernità o postmodernità che ha mutato il ruolo della religione, la bassa capacità di leadership di una gerarchia meno sociale e più attenta all’etica sessuale e familiare e, infine, i casi di abusi sessuali da parte del clero.

 

“Benché la fede popolare sia forte, le inchieste mostrano un apprezzamento molto basso per la chiesa e una diminuzione notevole di quanto si dichiarano cattolici, soprattutto tra i giovani. Il popolo cileno si aspetta di più dalla sua chiesa. Il clero giovane è in generale più conservatore e la chiesa è divenuta più clericale. Si chiede una maggiore partecipazione dei laici, in particolare della donna”. Ma è sulla questione degli abusi che i rischi sono maggiori. “Per Francesco è particolarmente delicato il caso del vescovo di Osorno, Juan Barros”. I fatti: nel gennaio di tre anni fa, il Papa nominò Barros capo della sperduta diocesi del Cile meridionale, nonostante il prescelto fosse stato vicinissimo al sacerdote Fernando Karadima, condannato per abusi sessuali e costretto nel 2011 dalla congregazione per la Dottrina della fede a ritirarsi a vita privata e invitato a pregare e pentirsi. Francesco ha sempre difeso la nomina di Barros, e in una conversazione del 2015 catturata da un microfono in piazza San Pietro, al termine dell’udienza generale, ribadiva che sul vescovo non c’era nulla, nessuna prova che lo collegasse agli abusi del suo mentore, se non dicerie. Nel frattempo, il presule prendeva possesso della diocesi, in una cerimonia tumultuosa: lancio di oggetti, urla in cattedrale, cartelli con frasi ingiuriose più degni d’una torcida curvaiola che d’una chiesa. Lo stesso Pontefice, privatamente, scriveva ai vescovi cileni una lettera – resa nota alla vigilia del viaggio dall’Associated Press – in cui si rammaricava della scelta, facendo intendere che avrebbe preferito un’altra soluzione. Sabato mattina, più di una ventina di manifestanti si sono riuniti davanti alla cattedrale di Santiago chiedendo l’immediata cacciata di mons. Barros, qualcuno ha accusato il cardinale Ricardo Ezzati di aver temporeggiato e altri hanno proposto di impedire l’ingresso del Papa in cattedrale se non arriverà una decisione in tempi brevi.

 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.