La maxioperazione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo ai danni di 46 persone ritenute a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso (Foto LaPresse)

La vittoria (ignorata) dello stato sulla mafia

Massimo Bordin

La maxi operazione di oggi è il risultato di una strategia che funziona da tempo

“La riunione fu bella” dice il mafioso, senza sapere che nell’auto c’è un microfono piazzato dai carabinieri. Così ieri, sei mesi dopo quella intercettazione, sono scattati 46 arresti e oggi i giornali parlano di una operazione epocale che ha neutralizzato il nuovo Riina. L’enfasi rischia così di oscurare il senso di continuità di indagini che da anni producono risultati mai prima raggiunti nella lotta alla mafia. Sono decine le operazioni che nel nuovo millennio hanno impedito alla mafia di ricostruirsi. Le ha elencate ieri, in parte, il colonnello dei carabinieri Antonio Di Stasio, comandante provinciale dell’Arma.

 

Nessuno se ne è accorto ma dalla seconda metà degli anni 90 la ricostruzione della struttura di Cosa nostra è stata impedita praticamente in tempo reale. Ogni volta che qualcuno cercava di riorganizzare le file di famiglie e mandamenti, finiva in carcere e la condanna seguiva rapidamente. Dopo un quarto di secolo, ché tanto è passato, erano finalmente riusciti a riunire di nuovo la famosa “cupola”, la commissione provinciale, l’organo supremo. Mancavano diversi mandamenti, le famiglie erano decimate ma “la riunione fu bella”.

 

Il regno di Settimo Mineo, ottantenne da poco uscito dal carcere, è durato sei mesi. L’unica decisione presa in quella riunione, l’uccisione di uno di Villabate, non si è fortunatamente concretizzata. Il mandamento di Pagliarelli, di cui Mineo era reggente perché il capo effettivo sta in carcere da anni, era stata sbaraccata già da qualche anno, le condanne in appello risalgono a due settimane fa. Il 29 maggio si è riunita la cupola dei rimasugli. Lo stato è a un passo dalla vittoria, nasconderlo serve solo a rimandare.

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