Giuseppe Graviano

La 'ndrangheta stragista e la sentenza della Cassazione

Massimo Bordin

Uscite le motivazioni con le quali la Corte ha accolto il ricorso del capo mafia Giuseppe Graviano. La ricostruzione accusatoria non viene respinta ma è certo indebolita da un giudizio autorevole

Alla fine della scorsa settimana sono uscite le motivazioni con le quali la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del capo mafia Giuseppe Graviano in merito al mandato di arresto nei suoi confronti emesso dai magistrati di Reggio Calabria. Il provvedimento, reso noto dalla stampa locale, non ha naturalmente nessun effetto pratico sulla libertà del capo mafia, gravato da alcuni ergastoli definitivi che sta scontando in regime di 41 bis, né lo fa uscire dal processo, per il duplice omicidio di due carabinieri, che è nato da quel provvedimento restrittivo e che attualmente si sta svolgendo di fronte alla Corte d’assise di Reggio Calabria. Non si tratta però di un atto simbolico o di un mero formalismo giuridico. Il processo, di cui qui si è parlato più volte, è l’ultimo atto della vicenda della trattativa stato-mafia che secondo i magistrati calabresi e della direzione nazionale antimafia arriva fino a tutto il 1994, ai tempi del governo Berlusconi, attraverso alcuni attentati mortali contro i carabinieri effettuati dalla ‘ndrangheta, per ordine di Graviano, proseguendo la strategia degli attentati del 1993. La cassazione sostiene però che non sono sufficientemente provate le responsabilità di Graviano, perché fondate solo su deposizioni di pentiti. Vengono citate le testimonianze chiave del processo, quella di Gaspare Spatuzza e di due calabresi, Lo Giudice e Villani. Da sole, questa la tesi dei giudici di piazza Cavour, non bastano a giustificare un arresto. La ricostruzione accusatoria non viene respinta, né avrebbe potuto esserlo in presenza di un rinvio a giudizio sopravvenuto, ma è certo indebolita da un giudizio autorevole che arriva prima della sentenza.

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