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Il circo mediatico intorno alla sentenza su stupro e alcol

Massimo Bordin

Ieri sembrava quasi che il nostro paese fosse ripiombato nella vergogna giuridica della violenza sessuale come reato contro la moralità pubblica e non contro la persona

Nel caso della sentenza della Cassazione su un caso di stupro, che tanto ha fatto discutere ieri su giornali e social network, si può per una volta amputare la famosa formula del circo mediatico-giudiziario. In questa occasione, duole dirlo, il circo è stato solo mediatico. Ieri sembrava quasi che il nostro paese fosse ripiombato nella vergogna giuridica dello stupro come reato contro la moralità pubblica e non contro la persona. Tutto ciò per alcuni commenti frettolosi su una notizia presentata in modo impreciso. Sarebbe bastato ricordare ai lettori che una sentenza di Cassazione è di regola riferita a una singola vicenda e, nel caso specifico, non formulava alcuna indicazione di carattere generale. Per di più andava spiegato che cassare un’aggravante, ritenendola non dimostrata, non vuol dire concedere una attenuante. Non è un concetto così complesso, eppure è stato ribaltato da indignate commentatrici. In sostanza la Suprema corte dice che l’accusa, al contrario di quanto sosteneva la sentenza esaminata, non era riuscita a dimostrare che la vittima, prima di subire violenza, fosse stata indotta a ubriacarsi dai suoi stupratori che comunque come tali restano condannati. L’aggravante non dimostrata, e dunque il suo annullamento, può essere stato frutto o di un eccesso di zelo dell’accusa, perché effettivamente non c’era, o di una sua carenza inquisitoria, per non averla ben argomentata, ma tutto questo riguarda una singola vicenda e non il fenomeno sociale dello stupro che non compete ai tribunali combattere bensì sanzionare adeguatamente caso per caso.

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