Foto via Pexels

La sentenza sullo stupro è giusta

Simonetta Sciandivasci

Perché indignarsi leggendo un titolo? La Cassazione applica la legge, “la cultura della violenza sessuale” non c’entra nulla

Due cinquantenni hanno violentato una ragazza ubriaca, che aveva bevuto senza che loro la costringessero. La Cassazione ha riconosciuto colpevoli del reato di stupro i due uomini, ma ha negato l’aggravante di induzione in stato di infermità psichica della vittima, perché non erano stati loro a farla bere. La Corte ha applicato la legge, che imputa l’aggravante di un reato a chi la commette, e ha stabilito: la ragazza è vittima di stupro; i due sono colpevoli; non è previsto aggravio di pena. Lunedì, la notizia arriva sui giornali, trasfigurata o resa in modo così tendenzioso da sembrare l’abominio giuridico che non è, ovvero la ratifica del principio, se così possiamo chiamarlo, in base al quale una donna è sempre, con percentuali variabili, responsabile della violenza che subisce. La Stampa ha titolato: “Cassazione: sei ubriaca? Lo stupro è senza aggravante”. Ilfattoquotidiano.it: “Cassazione su stupro vittima ubriaca, ricorda: sei responsabile della violenza che subisci”, una mistificazione spaventosa, cui seguiva un articolo nel quale si leggeva che la Cassazione “sostiene in parte la medesima tesi degli haters: le donne se la vanno a cercare e lo stupro è sempre colpa loro”. Per la rete Non Una Di Meno, attiva contro la violenza sulle donne, “la sentenza ribadisce il concetto patriarcale che se scegli di bere, scegli d’essere violentata”.

    

Molti non leggono gli articoli figurarsi una sentenza, accontentiamoci del titolo e indigniamoci in coro. Ma non c’è solo sciatteria, c’è un movente ideologico nella “cultura dello stupro” in cui, secondo alcuni studi femministi, siamo immersi, e che sarebbe indulgente verso i crimini sessuali. Più della presunzione con cui ognuno di noi pensa di poter maneggiare qualsiasi materia, diritto compreso, a pesare in questo nuovo episodio di fraintendimento paranoide c’è l’idea che le istituzioni agiscano attingendo da quella cultura. Non di meno pesa quanto il margine di autodeterminazione femminile sia eroso dalla vittimizzazione. Non significa dire che una vittima di stupro è anche complice, ma riflettere sul modo in cui ci annebbia la suscettibilità al tema della violenza sessuale, legata a sua volta all'ipersensibilità al corpo, al sesso, al consenso – tutti capitoli dalla cui complessità si tenta di dispensare le donne. In un’intervista a Gioia, Samantha Geimer, che da ragazzina venne violentata da Polanski, ha dichiarato che esiste una morbosità nel modo in cui ci occupiamo dei reati sessuali: “Non riesco a considerare la corte dell’opinione pubblica come un’alternativa. Il sesso è più vendibile dell’omicidio”. Ma a quello scalpore e a quella corte abbiamo consentito di dirci ancora una volta come starebbero le cose, anche se stanno al contrario.

Di più su questi argomenti: