Marco Cappato (foto LaPresse)

C'è un intoppo nella sceneggiatura scritta da Cappato sul caso dj Fabo

Redazione

Il governo si schiera in difesa della legge sul reato di aiuto al suicidio. Tecnicismo o scelta politica che sia, resta il fatto che il processo voluto dal radicale assume sempre più i contorni dello spettacolo teatrale

Nella discussione che la Corte costituzionale dovrà svolgere per stabilire se la legge che punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio è conforme alla Costituzione, ci sarà una voce, quella dell’Avvocatura dello stato, che prenderà posizione fuori e contro il coro messo in piedi dai radicali a sostegno dell’eutanasia. Non era scontato che il governo prendesse la decisione di costituirsi parte civile nel procedimento: in molti, organizzati dall’Associazione Luca Coscioni, gli avevano chiesto di non farlo, e tra questi molti intellettuali “impegnati” a cominciare dal solito Roberto Saviano.

 

Era solo un atto dovuto oppure una scelta politica consapevole? Non è facile rispondere: c’è una prassi, quella che vede il governo intervenire a sostegno della legislazione vigente, che ha visto ben poche eccezioni. Il fatto che a dare notizia della costituzione di parte civile non sia stato lo stesso governo che l’ha promossa ma proprio l’associazione radicale che propugna l’eutanasia, fa ritenere che il governo abbia agito, per così dire, in modo “tecnico”.

 

In ogni caso c’è un intoppo nella sceneggiatura scritta da Marco Cappato, che ha preteso prima di essere incriminato per avere accompagnato dj Fabo alla clinica svizzera dove ha messo fine alla sua esistenza, nonostante la procura non volesse farlo, poi ha trasformato il processo in una messa cantata a favore delle sue tesi e ora, grazie alla scelta della corte di adire la Consulta, vorrebbe replicare lo spettacolo nelle austere sale della Corte costituzionale. La pretesa di rendere lecita l’istigazione al suicidio è davvero esagerata. In primo luogo perché la legge è volta soprattutto a reprimere il comportamento di chi approfitta di condizioni di particolare debolezza psicologica per indurre, per interessi propri, una persona a uccidersi, invece di aiutarla a uscire da una spirale di disperazione. La legge non riguarda tanto e soltanto chi ha già maturato questa scelta autonomamente, ma chi può essere avviato su questa strada senza uscita.

  

Il fatto che la legge sia del 1930, che viene sbandierato per denunciarne un presunto carattere fascista, non influisce affatto sul suo valore oggettivo. D’altra parte è proprio la Costituzione repubblicana a sostenere l’intangibilità della persona e quindi della vita, a differenza sia dello Statuto albertino che dell’interpretazione che ne diede il regime fascista.

 

Accompagnare chi ha personalmente deciso di suicidarsi non configura il reato di aiuto al suicidio, tanto che la procura non aveva incriminato Cappato nemmeno dopo l’autodenuncia. Il tentativo di usare questo episodio per scardinare completamente la legislazione è un artificio, una mossa teatrale suggestiva ma infondata. C’è da sperare che l’Avvocatura dello Stato sappia far valere con efficacia e impegno professionale i princìpi fondamentali del diritto, senza cadere nel tranello sentimentale costruito dai sostenitori dell’eutanasia. Anche se il mandato ricevuto dal governo fosse solo tecnico (com’è per altro nella natura degli atti consentiti a un governo in carica per gli affari correnti) questo non cancella il valore profondamente politico, nel senso migliore della parola, della discussione di fronte alla Consulta. La difesa del principio dell’unicità e inviolabilità della vita umana è la difesa di un modello di convivenza, e quindi di Costituzione, la cui manomissione sarebbe l’esatto contrario di un passo avanti nella tutela dei diritti civili o, più semplicemente, del livello di civiltà.

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