(foto d'archivio Ansa)

bandiera bianca

Siamo così sicuri che il baby rapinatore Bilal abbia solo bisogno di un amico?

Antonio Gurrado

Lo sostiene, a proposito del dodicenne marocchino che a Milano è stato fermato per quattro furti in pochi giorni, don Gino Rigoldi. Eppure la Bibbia sul libero arbitrio dice cose un po' diverse

Ci vorrebbe un amico, come da celebre formula di Antonello Venditti, anche secondo don Gino Rigoldi. Il sacerdote argomenta che questa sarebbe la soluzione efficace e semplice per sistemare Bilal, il dodicenne marocchino che a Milano è stato fermato per quattro furti in pochi giorni dopo essere scappato da quindici comunità di recupero quindici. In questo mondo di ladri – sempre per dirla con Antonello Venditti – il curriculum di Bilal spicca per precocità e pervicacia, al punto da potersi parlare di vocazione o, chissà, predestinazione.

Don Rigoldi, che è buono, ritiene invece che Bilal non sia cattivo in sé, solo molto isolato, privo di una guida che gli spieghi che è meglio mettere la testa a posto: un amico, appunto. Speriamo. Essendo malvagio, io prendo però in considerazione un’altra ipotesi: che, posto di fronte alla scelta, Bilal abbia deciso coscientemente di fare del male. Ascrivere la delinquenza solo a cause esterne è un modo per svillaneggiare il libero arbitrio, che credo sia un caposaldo del cattolicesimo.

Ci sono innumerevoli dodicenni altrettanto soli e altrettanto poveri che si comportano bene; e forse, chissà, Bilal gli amici li ha ma preferisce comunque fare il ladruncolo di talento. Nella Bibbia (non so se anche in Antonello Venditti) è abbondantemente contemplata l’ipotesi che qualcuno scelga volontariamente di essere un malfattore: il termine utilizzato per definirlo è proprio “figlio di Belial”. Forse, al don, il nome del ragazzino avrebbe dovuto farlo venire in mente.

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