Il premier cinese Li Keqiang al Congresso nazionale del popolo (foto LaPresse)

“Troppe tigri” sulla strada della Cina, e il premier fa autocritica

Redazione

L’economia cinese mai così rallentata in 25 anni, il governo di Pechino ammette le colpe e si prevedono nuovi scossoni.

Roma. Non è molto comune, soprattutto ai tempi della crisi economica, che un leader mondiale ammetta di avere sbagliato, o che riconosca che qualcosa non va. Non è molto comune soprattutto se sei il leader della prossima superpotenza mondiale, i cui tassi di crescita e i cui progressi economici sono visti con ammirazione e invidia da tutto il mondo. Così questa settimana, quando il premier cinese Li Keqiang ha elencato, in un discorso che ricorda quello sullo Stato dell’unione americano, tutti i difetti dell’economia del suo paese in un modo tanto impietoso che il Financial Times ha titolato “Il premier ammette dei difetti nel modello cinese”, i commentatori si sono stupiti per la franchezza di Li. L’occasione era la grande assemblea del Congresso nazionale del popolo, l’organo legislativo di Pechino i cui oltre tremila membri (in cui si trova una percentuale particolarmente alta di miliardari, ha notato il New York Times), si incontrano una volta all’anno. Nel corso dei lavori Li e il presidente Xi Jinping avevano già annunciato che per il 2015 il tasso di crescita del paese sarebbe stato “circa” (e questo circa, per la rigida precisione che di solito accompagna le statistiche economiche cinesi, è già un brutto segno) del 7 per cento, il livello più basso degli ultimi 25 anni. Già l’anno scorso l’obiettivo di crescita, fissato al 7,5 per cento, era stato mancato di un decimale, ma il nuovo dato, e l’incertezza che lo circonda, ha fatto preoccupare gli analisti: negli anni scorsi era lo stesso governo di Pechino a dire che un livello di crescita del 7 per cento è la soglia minima che consente alla Cina di mantenere il suo progresso sociale (e dunque la stabilità politica) che il regime comunista di Pechino desidera.

 

Ma giovedì, nel suo Rapporto sul lavoro del governo – questo il nome ufficiale – Li è stato ancora più duro. Ha detto che se “nell’anno passato abbiamo affrontato più difficoltà e sfide di quanto anticipato”, e il pil è sceso di conseguenza, “le sfide che incontreremo quest’anno potrebbero essere ancora più difficili di quelle dell’anno scorso”. Le cose potrebbero peggiorare. Li aveva detto che il governo cinese ha incontrato “troppe tigri sulla sua strada”. Le tigri sono, secondo Xi Jinping, i funzionari corrotti di alto rango, e Li in un’occasione precedente, a febbraio, aveva usato il termine per parlare degli atti di corruzione, ancora troppi nonostante l’enorme operazione di pulizia del governo, che in due anni ha messo sotto inchiesta circa 250 mila funzionari del Partito. Davanti al Congresso di Pechino Li è stato ancora più duro, e ha elencato una per una tutte le magagne del modello cinese. I problemi, ha detto, permangono gravi nei settori “dei servizi medici, della cura degli anziani, dell’edilizia domestica, dei trasporti, dell’istruzione, della distribuzione del reddito, della sicurezza alimentare, del mantenimento dell’ordine e del rispetto della legge”. Un modello come quello cinese, ha detto, “sta diventando difficile da sostenere”. Ci sono problemi “sistemici, istituzionali e strutturali”, ha aggiunto Li.

 

[**Video_box_2**]Un’autocritica niente male, che se messa nel contesto del regime autoritario cinese, dove in teoria di scusarsi i leader non dovrebbero avere bisogno, preoccupa ancora di più. Questo è il “new normal” cinese, il nuovo regime di “crescita medio alta” – parole del premier – che vuole sostituire i tassi strepitosi dello scorso decennio, puntare sulla stabilizzazione della crescita e sul mercato interno. Ma questa settimana è sembrato quasi che Li stia preparando i cinesi (e gli investitori stranieri) a nuovi scossoni. Le riforme di maggiore apertura economica e finanziaria annunciate nel 2013 non stanno funzionando come dovrebbero, ma le soluzioni individuate dal governo, almeno sul medio periodo, sono sempre le stesse: più economia di stato (il budget di quest’anno è di 1,3 mila miliardi di dollari, il 9 per cento più dell’anno passato) e una più stretta aderenza all’ortodossia nazionalista e di partito.

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