Il premier indiano Narendra Modi festeggia la vittoria nelle ultime elezioni (foto LaPresse)

Altro che partito senza tessere: così in India Modi supera persino i comunisti cinesi

Maurizio Stefanini
88 milioni di tesserati per il partito del primo ministro. Due milioni in più dei Rossi di Pechino. Il caso dei democratici in America e i piccoli numeri degli italiani.

88 milioni contro 86 milioni. Secondo The Times of India sarebbero queste le cifre con cui il Bharatiya Janata Party guidato dal primo ministro indiano Narendra Modi ha sorpassato il Partito comunista cinese diventando così il partito politico con più iscritti al mondo. Sebbene i due contesti sociali e politici non siano del tutto comparabili, il dato è ancora più significativo per il fatto che la Cina ha più abitanti dell’India. Il Partito comunista cinese è un partito dominante in un sistema non competitivo. Convive con otto partiti satelliti la cui consistenza è compresa tra i 1,600 e i 130 mila iscritti e dunque può permettersi di selezionare un’affiliazione che comporta di per sé l’ingresso a un élite di potere. Il Bjp, il cui nome più o meno significa Partito popolare indiano, destra nazionalista indù con tinte liberiste e tecnocratiche, è invece un partito che compete in libere elezioni in quella che è la più grande democrazia del mondo. Per il Bjp, sottoscrivere il più alto numero di tessere di partito rappresenta una risorsa economica, organizzativa e psicologica. Il Congresso nazionale indiano, suo principale rivale nella scena politica nazionale, si affronta un periodo di crisi che lo vede fermo ad appena una ventina di milioni di iscritti; e il Partito comunista dell’India (di stampo marxista) è la terza forza politica a livello nazionale e nel 2013 dichiarò 1.065.046 iscritti. Lo storico traguardo degli 88 milioni di tessere del Bjp è stato raggiunto grazie a una intensa campagna di adesioni on line lanciata dal presidente Amit Shah, braccio destro del premier Modi.

 

In realtà, in proporzione alla popolazione, entrambi i grandi partiti statunitensi sono più forti sia del Bjp sia del Partito comunista cinese. Il Partito democratico americano nel 2012 contava 43,1 milioni di affiliati e il Partito repubblicano 30,7 milioni. Eppure, nemmeno questi dati sono comparabili a quello indiano, perché il sistema delle primarie spinge molti cittadini ad assumere un ruolo più attivo nel partito democratico o in quello repubblicano di quanto non facciano i più comuni sistemi di tesseramento delle democrazie. Quali sono i livelli normali di adesione partitica in una democrazia competitiva senza meccanismi all’americana? Nel Regno Unito, patria della democrazia moderna, i conservatori avevano 224 mila iscritti nel 2014, i laburisti ne avevano dichiarati 194,269, i liberal-democratici 44,000, lo Scottish National Party ne aveva registrati 102,785, il partito nazionalista gallese Plaid Cymru contava (nel 2012) 7,864 iscritti, i Verdi 57 mila, l’Ukip 44,041. La crisi del modello tradizionale di partito si misura dal fatto che i conservatori avevano 2,8 milioni di iscritti nel 1958 e 1,5 milioni nel 1970; i laburisti nel 1974 tesserarono addirittura 6.518.457 (anche se si contavano anche 5.787.467 iscritti ai sindacati, allora considerati automaticamente anche membri del partito se non disponevano altrimenti in modo esplicito). Quanto ai liberali, nel 1970 avevano circa 200 mila iscritti.

 

Continuando  a guardare i grandi Paesi d’Europa, in Germania l’Spd  aveva nel 2013 473,662 iscritti, la Cdu  469,575, la Csu 147,965, la Linke 63,756, i Verdi 61,369, l’Fdp 57 mila, l’Alternativa per la Germania 21,785. Che in Germania il sistema partitico abbia retto meglio è dimostrato dal fatto che nel 1977 l’Spd aveva 1.021.000 iscritti, la Cdu 658.885, la Csu 180.013, l’Fdp 78 mila; anche se sono cifre da considerare in una piccola Ddr ancora senza la popolazione della Germania Est. In Francia l’Ump aveva nel 2014 143 mila iscritti, il Partito socialista 60 mila, il Fronte nazionale 83 mila, il Partito comunista 138 mila. Nel paese transalpino si è così registrato un crollo ancora maggiore di quello britannico, se si pensa che negli Anni ’70 i comunisti avevano 600 mila iscritti, i socialisti 200 mila e i gollisti 500 mila. Quanto all’Italia, il Partito democratico ha dichiarato nel 2014 366,641 iscritti, Forza Italia ne aveva circa 40 mila, il Movimento cinque stelle 87,656. Ma nel 1976 il Pci aveva 1,8 milioni di iscritti, la Dc 1.730.000, il Psi 665.000, il Msi-Dn 400 mila, il Psdi 300 mila, il Pri 120 mila. Cifre altissime le hanno confermate invece i partiti spagnoli: 865 mila “affiliati” al Partito popolare, 623 mila al Psoe, 350,616 a Podemos. Un dato tuttavia “viziato” dal fatto che in Spagna ci si può  iscrivere a un partito anche senza pagare quote di iscrizione.

 

Una cifra di iscritti altissima in confronto alla popolazione è quella del partito chavista dei socialisti del Venezuela: 5,7 milioni. Un record ottenuto grazie a una pressione clientelare paragonabile a quella che in Russia è alla base di Russia unita, il partito di Vladimir Putin, che di iscritti ne conta 2.073.772. Le grandi democrazie extra-europee hanno in generale livelli di organizzazione maggiori di quelli che si trovano nel nostro continente. In Brasile, per esempio, il Partito dei lavoratori dichiara 1,4 milioni di iscritti e il Partito del movimento democratico 2.353.059. In Giappone il Partito liberale democratico ha 789 mila iscritti contro i 326.974 del Partito democratico e i 320 mila del Partito comunista. In Turchia l’Akp di Erdogan ha addirittura 7,5 milioni di iscritti contro i 953.416 del Partito repubblicano del popolo.

 

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