Xi Jinping (foto LaPresse)

In Cina per i nemici di Xi Jinping i guai iniziano anche dalle favole

Eugenio Cau

Il sito della commissione anticorruzione cinese pubblica un’allegoria storica che è un avvertimento per uno degli uomini più potenti del paese. Arresti eccellenti in vista.

Mercoledì pomeriggio è apparso uno strano racconto sul sito della commissione centrale per l'Ispezione della Disciplina, il braccio armato del presidente Xi Jinping nella sua lotta contro la corruzione. Il sito di solito presenta notizie di arresti, di funzionari indagati o condannati, di fortune acquisite illegalmente e recuperate. Ma mercoledì l’ente guidato dal potente Wang Qishan si è concesso uno svago a tema storico. Nell’articolo, pubblicato sotto pseudonimo, si legge delle malefatte di un principe manciuriano, Qing, vissuto nel Diciannovesimo secolo e famoso per la sua corruzione morale ed economica. Il racconto sembra innocuo, e stranamente fuori posto. Ma chi conosce la politica e la storia cinesi sa che questi racconti non sono mai innocui, sono allegorie che hanno obiettivi ben specifici, e in questo caso l’obiettivo della commissione anticorruzione potrebbe essere la più potente delle “tigri” (così il presidente ha chiamato gli alti funzionari corrotti) catturate fino a oggi.

 

Il carattere cinese con cui nel racconto della commissione è scritto il nome del “principe Qing” è lo stesso che compone il nome di Zeng Qinghong, vicepresidente della Cina fino al 2008, braccio destro dell’ex presidente Jiang Zemin e, come ha scritto James Anderlini, che per primo ha raccontato questa storia per il Financial Times, uno degli uomini politici più potenti della Cina moderna. Molti passaggi della storia ricordano aspetti della vita di Zeng Qinghong, e sui social media molti utenti si sono chiesti esplicitamente se il racconto fosse un avvertimento indirizzato a Zeng. E il fatto che l’onnipresente censura digitale cinese non abbia cancellato nessuno di questi commenti, spesso piuttosto irrispettosi nei confronti dell’ex vicepresidente, indica che probabilmente le speculazioni hanno qualche fondamento. Secondo alcuni siti di intelligence, inoltre, Zeng Qinghong non appare in pubblico da diversi mesi, e questo, al tempo della guerra alla corruzione e degli “arresti informali” fatti dalla commissione di Wang Qishan, non è mai un buon segno.

 

Zeng Qinghong, oltre che vicepresidente, è stato il padrino politico del più potente tra i funzionari caduti finora nella guerra alla corruzione di Xi, l’ex zar dei servizi di sicurezza interni Zhou Yongkang, le cui accuse sono state formalizzate negli ultimi mesi dopo un’indagine (e una detenzione informale) durata quasi due anni. Zeng è stato negli anni Novanta il coordinatore delle agenzie d’intelligence cinesi, ed è stato l’uomo che ha guidato e addestrato l’International Strategic Research Bureau, organo che è stato solo di recente soppiantato da un nuovo Consiglio di sicurezza nazionale voluto da Xi Jinping. Ci sono molte prove della ricchezza di Zeng: nel 2008 i media australiani riportarono che suo figlio, Zeng Wei, aveva comprato a Sydney una villa da 32 milioni di dollari. Ma la portata di un’indagine contro Zeng Quinghong potrebbe essere gigantesca, ancora più grande dello scandalo provocato dalla caduta di Zhou, per un’altra ragione: sarebbe un attacco diretto al potentissimo ex presidente Jiang Zemin.

 

Il racconto del “principe Qing”, in effetti, sembra paventare anche questa ipotesi: a un certo punto vi si legge che il principe avesse ottenuto i favori di un personaggio definito “il vecchio Buddha”. Questo, scrive Anderlini, è il nomignolo con cui in Cina è definita l’imperatrice Dowager Cixi, che per molti decenni ha governato il paese rimanendo nell’ombra. Fuori dall’allegoria, c’è un solo personaggio nella Cina contemporanea che può essere definito allo stesso modo, un regnante che per molti anni ha manovrato la vita politica del paese anche dopo aver abbandonato ogni incarico, e questo è proprio Jiang Zemin, presidente cinese dal 1993 al 2003, ancora oggi eminenza grigia del Partito comunista di Pechino.

 

[**Video_box_2**]Jiang è definito “il ragno” per l’estensione della sua rete di influenze, e nonostante i suoi 88 anni è ritenuto ancora capace di fare e disfare governi. Secondo molti analisti, senza il suo aiuto Xi Jinping non sarebbe mai diventato presidente. Ma adesso Xi sembra pronto a voler colpire il suo antico sostenitore, e la commissione guidata da Wang Qishan ha mostrato anche in passato segnali di interesse nei confronti di Jiang. Molte indagini della commissione negli ultimi mesi sono avvenuti a Shanghai, feudo storico dell’ex presidente, e l’anno scorso ancora il Financial Times raccontava di come Jiang, insieme al suo successore Hu Jintao, capo di una fazione opposta, avesse avvertito Xi di rallentare il ritmo degli arresti per evitare inconvenienti spiacevoli. I due si sentivano sotto assedio, e non a torto. Lo scorso dicembre la commissione anticorruzione ha messo sotto indagine Ling Jihua, braccio destro di Hu. Oggi dichiara indirettamente di mirare al braccio destro di Jiang.

 

Lo scorso dicembre il presidente americano Barack Obama ha confessato, in un intervento pubblico di rara schiettezza, che l’Amministrazione di Washington è rimasta stupita dalla velocità con cui Xi Jinping è riuscito a consolidare e rafforzare il suo potere nel paese e tra i ranghi del Partito. Un colpo diretto contro Jiang Zemin, l’uomo più potente di Cina negli ultimi vent’anni, sarebbe una prova ulteriore di questo rafforzamento, e un segno che Pechino ha davvero un nuovo imperatore.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.