La baia

Piero Vietti

La recensione del romanzo di Cynan Jones, 66thand2nd, 85 pp., 13 euro

C’è un uomo alla deriva su un kayak. Ha perso la pagaia, la canna da pesca, l’uso di un braccio e la memoria, “un mazzo di carte caduto a terra”. Non sa perché si è svegliato in mezzo al mare, attorno a lui pesci morti e la sua imbarcazione agitata dalle onde. Non sa perché l’acqua attorno a lui è coperta di cenere, né cosa stesse facendo così lontano dalla riva – ma poi, era davvero così lontano dalla riva, o è successo qualcosa che lo ha portato in quel punto dove “l’orizzonte era ovunque”? Cynan Jones, l’autore gallese di questo piccolo gioiello da domani in libreria, il cui titolo originale impossibile da rendere in italiano è Cove (baia, ma anche uomo), ce lo ha detto poco prima: è sceso nella baia dove da bambino andava con suo padre. Per spargere le sue ceneri in mare. Viene però sorpreso da un temporale, il fulmine che lo colpisce gli toglie quasi tutto. “Sulla sacca vide il proprio nome e l’indirizzo. Era come guardare in una tazza vuota. Poi sentì una voce che lo pronunciava […]. Non importa chi sei. Sai cosa sei, e sai che ti trovi a bordo di un kayak in mezzo all’oceano. Conta solo cosa sei, in questo momento”. Di chi è quella cenere sul mare, sul kayak e sulla sua pelle? L’uomo alla deriva senza memoria ha una sola certezza: sulla terraferma c’è una donna che lo aspetta, e dentro a quella donna c’è un figlio. “L’idea di quella donna, chiunque fosse, sembrava crescere fino a trasformarsi in un punto all’orizzonte verso cui dirigersi”. Jones racconta una storia con molti spazi bianchi in pagina – pause in cui è lo sciabordio delle onde a parlare – lo fa con una prosa trasparente, cambi di registro misurati e improvvisi, in cui quello che pensa l’uomo del kayak lascia spazio a una voce narrante che pare sdraiata sul fondo salato della sua imbarcazione.

 

La baia è una grande metafora senza la pedanteria delle metafore, è un uomo abitato dalla nostalgia che cerca il modo di tornare là dove un amore lo aspetta, e porta inconsapevole su di sé la presenza silenziosa di chi lo ha generato. Non è solo il racconto della lotta per sopravvivere in mezzo a una natura incontrollabile, ma la storia di ogni uomo che sa di essere fatto per qualcuno da cui tornare. Nelle pagine di Jones la natura è un mistero: l’enorme pesce luna che spinge la sua barca verso terra, i delfini che gli ricordano che “devi rimanere vivo”, la farfalla che compare improvvisa sotto al sole caldo – “Potrei fare la differenza, pensa. Potrei essere l’imprevisto che la salva, qui al largo. (Crede nel fine ultimo? Non ricorda. In questo momento gli pare di sì). Deve stare con me. Devo riportarla indietro”. Con il passare delle ore, mentre cerca di non morire di fame e sete e indovinare il profilo della riva su cui si agitano persone lontane, l’uomo del kayak rimette insieme le carte della memoria, usa gli strumenti che trova a bordo e in acqua per muoversi e fare sapere a qualcuno che è vivo (ma a chi? “E se fosse tutto finito? Se ci fosse stata un’apocalisse silenziosa?”). Il mare, sotto al quale “non può fare a meno di percepire che esistono intere città”, è il passaggio a un altro mondo in cui lui non vuole immergersi. Fino a quando, inevitabile come una tempesta, dovrà decidere se affidarsi all’acqua. Se fidarsi dell’acqua. “Tutta questa attesa, e ora”. 

  

LA BAIA

Cynan Jones, 

66thand2nd, 85 pp., 13 euro

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.