(foto Olycom)

Una fogliata di libri

J.D. Salinger e il disperante mondo di un Holden cresciuto

Michele Silenzi

In "Franny" l'autore concentra tutta la sua poetica e il suo supremo stile. Mostra sentimenti senza parlarne, dipinge in maniera impeccabile la sua etica "infantile"

Franny e Lane sono giovani universitari, si amano e devono trascorrere il weekend insieme. Lei arriva alla stazione, lui va a prenderla e la porta a pranzo in un locale sofisticato. Bevono Martini, fumano, lei è inquieta e non ha appetito, lui ha fame ed è distratto da quello che hanno in programma di fare il pomeriggio. Mentre aspettano il loro ordine lei si alza, va in bagno, vomita. Torna al tavolo brillante e con un apparente ritrovato buon umore. Parla molto e lui l’ascolta distrattamente e un po’ spazientito dalla sua insofferenza verso un mondo popolato di egomaniaci e impostori, di persone che le appaiono tutte uguali nelle loro pretenziose differenze, tutti attori poco sinceri su un inevitabile palcoscenico. Lei vorrebbe soltanto essere nessuno, vorrebbe trovare il coraggio per essere assolutamente nessuno. Franny porta con sé un libro, “La via del pellegrino”, di un qualche asceta russo dell’Ottocento, dice a Lane che le chiede cosa sia. Un libro che la commuove, in cui si insegna come pregare incessantemente, accordando il proprio cuore a quello del tutto. Franny dice a Lane, più concentrato sulle sue zampette di rana che sta mangiando avidamente che sull’afflato mistico di lei, che in quel modo si può arrivare a vedere Dio. Mentre Lane le sorride e le dice di amarla lei gli dice che deve di nuovo andare in bagno. Fa pochi passi e sviene ma poco dopo si riprende, e Lane con dolcezza si prende cura di lei.

In questo celebre racconto perfetto, “Franny”, JD Salinger concentra tutta la sua poetica e il suo supremo stile. Mostra sentimenti senza parlarne, dipinge in maniera impeccabile attraverso le parole la sua etica “infantile” piena di disprezzo per la vita adulta: una strutturale impostura. Ci dà in pasto ciò che vede lasciando l’abisso interpretativo all’abisso di ciascun lettore, ma si può comodamente godere anche solo della splendida superficie.
Franny è forse un Holden cresciuto, o forse no. Ma la visione sul mondo è simile e forse ancora più disperante. Il mondo reale appare un teatrino di marionette in cui ciascuno recita una parte volontariamente appeso a fili che nessuno regge, se non quello stesso incubo fin troppo concreto che chiamiamo società. Una società popolata da quelli che Franny definisce “section men”, ovvero esperti di qualcosa, di un pezzetto di mondo a cui si tengono aggrappati perché costituisce la parte loro assegnata, il loro ruolo, ciò che li rende in qualche modo “significativi”.

Solo il “tutto”, sembra dire Salinger, può essere “vero”, sincero. Il resto è impostura. Quando si diviene “qualcosa” si comincia a recitare. Fino a una certa età si può saltare senza problemi da una vita all’altra pensando di poter vivere tutte le vite possibili, l’intero appunto. Poi, da qualche parte nella nostra vita, ci si rende conto di non potere più passare da una cosa all’altra sperando di diventare chiunque (o nessuno), di poter concentrare in un’unica persona tutte le identità disponibili. Ci si accorge di non poterlo più fare senza scivolare nel ridicolo (anche il senso del ridicolo è un altro segno che si sta invecchiando). A un certo punto ci si rende conto di doversi limitare. Si decide di entrare in un ruolo, di scegliersi una volta per tutte un personaggio tra tutti quelli che ci vengono forniti dalla società, per rispettare un canone, per poter essere riconosciuti da un gruppo di riferimento con cui intrattenere rapporti sicuri, da cui avere protezione, da cui ottenere una qualche clientela fissa. La strada allora inizia a restringersi e progressivamente scompaiono svincoli e uscite. Avrei potuto fare quello, avrei potuto essere questo. E poi resta solo un unico percorso, su cui ci siamo trovati senza averlo neppure troppo scelto. E’ capitato e basta.
È limitante? Non è abbastanza? Ma questo non è altro che il mondo. E il mondo è tutto ciò che abbiamo.

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