Topeka School

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Ben Lerner, Sellerio, 375 pp., 16 euro

Da tempo Ben Lerner, classe 1979, è osannato dalla critica letteraria americana, oltre che per le sue doti da poeta, come uno dei più interessanti romanzieri della sua generazione. Il suo terzo romanzo, Topeka School, edito in Italia da Sellerio come il precedente Nel mondo a venire, e tradotto in maniera sublime da Martina Testa, racconta le vicende e i tormenti esistenziali di Adam Gordon, liceale campione di retorica, a Topeka, nel Kansas, a metà degli anni Novanta. I lettori di Lerner ricorderanno di avere già incontrato Adam Gordon nel suo libro d’esordio, Un uomo di passaggio (Neri Pozza), dove, in seguito alla vincita di una borsa di studio, il giovane americano, amante della letteratura e dipendente dagli ansiolitici, si era trasferito a Madrid e passava le sue giornate girovagando per la città, trascorrendo il tempo tra contemplazioni di opere d’arte sotto l’effetto di stupefacenti, falò e pesanti hangover. In Topeka School, sorta di prequel di entrambi i romanzi precedenti, si alternano i punti di vista di Adam (alter ego ideale dell’autore) e dei suoi genitori, Jonathan e Jane, attraverso un continuo cambio di prospettiva e un vorticoso utilizzo di flashback. Jonathan e Jane sono due raffinati psicanalisti newyorchesi che si sono trasferiti in Kansas per andare a lavorare alla Fondazione, un istituto psichiatrico all’avanguardia, di “fama mondiale”. “Il nostro piano era finire i due anni di borsa di studio e tornarcene a New York, ma facemmo amicizia con Eric e Sima, due transfughi di Berkeley, e poi di Topeka ci piaceva l’assenza di esclusività, il cielo senza ostacoli; guardavamo i temporali insieme sulla veranda che correva tutto intorno alla nostra casa vittoriana, comprata senza dover chiedere un centesimo a mio padre”, ci dice Jonathan all’inizio del libro. Adam invece, campione di dibattito a scuola e di freestyle gangsta rap alle feste, vive un profondo dissidio interiore, diviso tra la sofisticata educazione intellettuale borghese di sinistra dei genitori e la rozza e violenta ignoranza dell’ambiente che lo circonda fuori di casa a Topeka, “un posto fuori di testa, pieno di metanfetamine e ragazzi bianchi annoiati e con le pistole”. Lerner riesce così perfettamente a fotografare i prodromi di una parte dell’America trumpiana di oggi e contemporaneamente ad affrontare il complesso tema dell’utilizzo del linguaggio e del suo stato di salute nella società statunitense. In definitiva il linguaggio, vissuto come una sorta di superpotere dell’essere umano, secondo Lerner offre la possibilità di uscire dai confini del sé, di immaginare nuove forme di vita comune e resta l’unico antidoto possibile alla deriva populista, classista e misogina di cui sembra essere vittima la nazione. Si dice che solo i grandi scrittori siano in grado di analizzare le condizioni di un intero paese attraverso le storie di pochi personaggi in una piccola città di provincia; Lerner in questo caso ci riesce splendidamente. E non è la prima volta.

  

TOPEKA SCHOOL
Ben Lerner
Sellerio, 375 pp., 16 euro

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