Lettere a Milena

Rinaldo Censi

La recensione del libro di Franz Kafka (a cura di Guido Massino e Claudia Sonino), Giuntina, 433 pp., 20 euro

Il 15 marzo 1939, quando Hitler invade la Cecoslovacchia, Franz Kafka è deceduto ormai da quindici anni. Nella primavera di quello stesso anno, Willy Haas riceve da Milena Jesenská un plico che contiene il suo carteggio con lo scrittore praghese. Anche Milena scrive, ha tradotto alcuni racconti di Kafka in lingua ceca. Partecipa attivamente alla resistenza. Viene arrestata per attività sovversive nel novembre del 1939. Muore nel 1944 nel campo di concentramento di Ravensbrück. Il carteggio Kafka-Jesenská giunge invece a Londra nel 1946. Haas vi lavora per pubblicarlo. Diversi sono i problemi da risolvere. Non esiste una disposizione cronologica delle lettere. Quasi tutte sono senza data. Alcune persone ancora in vita vengono citate esplicitamente: amiche di Milena, la sua famiglia. Numerosi sono i passaggi sull’ebraismo che, dopo la Shoah, potrebbero venire fraintesi. Alcune missive sono andate perdute. Altre mostrano parti cancellate, illeggibili. Sono state censurate da Kafka, e, in un secondo tempo, dalla stessa Jesenská (che deve aver distrutto le sue). Nel 1952 esce dunque un’edizione lacunosa, che lo stesso Haas considera non scientifica, solo un “incomparabile documento di vita”.

 

Egli stesso sollecita una futura edizione critica, che esce in lingua tedesca nel 2013, curata da Hans-Gerd Koch. A quella rimanda la nuova edizione italiana, stampata ora da Giuntina, seguita con scrupolo da Guido Massino e Claudia Sonino. Accompagnata da un notevole apparato di note, otto lettere di Milena indirizzate a Max Brod, contiene riproduzioni fotografiche dei manoscritti. Le righe cancellate, in parte decifrate, sono state reintrodotte nel testo, a piè di pagina. In una delle prime lettere, la numero 10, scritta da Kafka il 30 maggio del 1920 da Merano, dov’era in cura, l’omissione riguarda il suo aspetto fisico.

 

Kafka risponde a un’osservazione di Milena sulla sua magrezza, anticipando il famoso passo sul suo essere ebreo. Sono due questioni cruciali su cui ruota l’intero carteggio (Milena era cattolica, sposata con il banchiere e agitatore culturale ebreo Ernst Pollak). Storia d’amore irrisolta, sublimata nella distanza e nella scrittura (Massino propone un parallelo con la figura dantesca di Beatrice nel saggio che chiude il carteggio), la relazione epistolare tra Kafka e Milena si srotola per un anno tra slanci, incomprensioni, equivoci e pochi brevi incontri. Nel 1922, ai primi di aprile, quando il loro rapporto è su un binario morto, Kafka le riscrive, segnalando quanto le lettere possano essere diaboliche: “Scrivere una lettera deve – da un punto di vista teorico – aver causato nel mondo un terribile logoramento delle anime. Perché è un rapporto con gli spettri e non solo con lo spettro del destinatario, ma anche con il proprio, quello che si sviluppa sotto le nostre mani nella lettera che stiamo scrivendo”. Doveva aver ragione.

  

Lettere a Milena

Franz Kafka (a cura di Guido Massino e Claudia Sonino)

Giuntina, 433 pp., 20 euro

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