Galeazzo Ciano con il ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop (Lapresse)  

uffa!

"L'ultima notte" di Galeazzo Ciano, da erede dell'impero fascista a vittima della sua furia

Giampiero Mughini

Il diario del genero di Mussolini è un documento fondamentale sulla storia italiana del Novecento. Il libro di Mauro Mazza racconta il drammatico protagonista degli ultimi giorni del regime

Nella drammatica notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, 19 dei 28 membri del Gran consiglio del fascismo tolsero da sotto i piedi di Benito Mussolini il piedistallo da cui lui dominava, fin dal 3 gennaio 1925, ogni particella della vita pubblica italiana. A dire sì all’ordine del giorno firmato dal presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni Dino Grandi, un dettato che invocava la fine del patto di alleanza cieca con i nazi e restituiva a re Vittorio Emanuele III l’autorità di decidere come uscire da una guerra che ci vedeva annichiliti e stremati, era stato il fior fiore di quanti erano stati ferventi mussoliniani durante un ventennio. Fra gli altri, l’ex ministro e intellettuale di punta del fascismo Giuseppe Bottai, l’ex ministro degli Esteri, nonché genero del Duce, Galeazzo Ciano, l’ex quadrumviro del fascismo Emilio De Bono, l’ex presidente del Senato Luigi Federzoni, il più volte ministro Giacomo Acerbo, l’altro ex quadrumviro generale Cesare Maria De Vecchi. Sì o no valeva la pena raccontare la storia del personaggio il più letterario e il più drammatico di questa pattuglia di uomini che ha cambiato il corso della storia italiana, il men che quarantenne conte Galeazzo Ciano? Certo che sì, come dimostra questo intelligente e ben costruito libro di Mauro Mazza (“Diario dell’ultima notte”, La Lepre Edizioni, 2021), un libro dove la vicenda dell’ex pupillo del Duce è romanzata appena un tantino, dato che il romanzo sta tutto nei fatti nudi e crudi che videro protagonista l’autore di quel “Diario 1937-1943”, la cui edizione curata da Renzo De Felice nel 1980 è uno dei maggiori documenti sulla storia italiana del Novecento.

 

 

Quella notte di luglio del 1943 Ciano s’era giocato tutto. Si separava da Mussolini, lui che per un momento era apparso come il suo naturale erede politico, senza avere nulla in cambio. Era anzi divenuto uno degli uomini più odiati d’Italia, odiato dagli avversari del fascismo perché ne aveva avuto enormi vantaggi di carriera, odiato dai residuali sostenitori del fascismo perché accusato di aver pugnalato alle spalle il padre di sua moglie. Il nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, non rispondeva ai suoi messaggi. Il Vaticano, presso cui Ciano era stato ambasciatore, faceva lo gnorri quanto alle sue richieste di asilo politico. Il 22 agosto 1943 il Corriere della Sera pubblicò un veemente atto d’accusa contro i Ciano, padre e figlio, sospettati di avere accumulato ricchezze calcolate in un miliardo di lire del tempo. Quanto ai nazi, gliel’avevano giurata al genero del Duce di cui sapevano quanto fosse stato da sempre avverso al Patto d’acciaio tra le due dittature. E a non dire dei fascisti che armeggiavano a costruire la Repubblica di Salò, i quali stavano contando i minuti che li separavano dal momento in cui si sarebbero finalmente vendicati dei “traditori” di luglio. La moglie di Ciano confidava agli amici che nello spazio di poche settimane l’ex charmeur ed ex dominatore dei salotti romani era invecchiato di dieci anni.

 

Paradossalmente Ciano e la sua famiglia si rifugiano in Germania, più precisamente in Baviera. Contano sul riguardo che Hitler nutre per la figlia del Duce. E del resto i tedeschi non hanno bisogno di sporcarsi le mani nel vendicarsi. A farlo ci penseranno altri italiani assetati di sangue seppure di connazionali. E dunque i nazi restituiscono Ciano alla furia vendicatrice dei fascisti di Salò, a gente come Roberto Farinacci e Alessandro Pavolini, un tempo amico personale del genero del Duce. Il 20 ottobre 1943, appena sbarcato da un aereo tedesco che lo ha riportato in Italia, Ciano entra nel carcere degli Scalzi a Verona dove trascorrerà gli ottanta giorni che gli restano da vivere sino alla mattina dell’11 gennaio 1944, quando un plotone repubblichino aprirà il fuoco contro lui e altri quattro firmatari dell’ordine del giorno Grandi. E’ una cella di tre metri per quattro, un letto, una piccola scrivania, due sedie, un lavabo, una brocca per sciacquarsi la faccia, un gancio alla parete cui appendere qualcosa. Non molto per uno che era apparso come il possibile erede politico dell’“Impero” costruito da Mussolini, per un uomo al cui fascino non avevano saputo resistere molte dame della gran società romana.

 

 

Il 24 novembre 1943 un Mussolini che di per sé non manifesta alcun proposito feroce nei confronti di Ciano è “come costretto”, lo scrive Mazza, a firmare il decreto che istituisce il tribunale speciale che giudicherà il genero. Ed è un tribunale la cui natura sinistra lo fa somigliare a un plotone di esecuzione, a cominciare dal fatto che in caso di condanna non prevede attenuanti: se sarà condanna, sarà alla pena di morte. L’unica vera arma che Ciano ha a sua difesa è l’esistenza dei suoi ben nascosti “Diari”, dove lui racconta la monnezza del nazismo e dei suoi uomini. I tedeschi sono disposti a lasciar fuggire Ciano in cambio di quelle carte a loro modo minacciose? La stessa Edda Ciano spera per un attimo nella realizzabilità di questa ipotesi. Appena Hitler viene a sapere del piano, si mette a ululare. Non se ne farà niente.

 

Il processo debutta alla mattina del sabato 8 gennaio 1944. Nessun avvocato di rilievo ha accettato di difendere Ciano, il quale ha dalla sua solo un impacciatissimo difensore d’ufficio. Non viene ascoltato un solo testimone a difesa. Al momento della decisione, tutti e nove i giurati vorranno la morte di Ciano, laddove per altri quattro imputati il rapporto è tra cinque giurati che votano morte e quattro condanna a vita. Alla mattina dell’11 gennaio li faranno sedere tutti e cinque con le spalle al plotone di esecuzione. Un attimo prima della scarica Ciano ha la forza di voltarsi indietro a guardare in faccia la morte. Le sei pallottole a lui destinate non lo uccidono, il colpo di grazia alla tempia glielo dà il comandante del plotone.

Di più su questi argomenti: