Dalla mostra "The Situationist International 1957-1972" (Ansa) 

uffa!

Guy Debord, il fondatore dell'Internazionale situazionista che restò solo

Giampiero Mughini

Autore del geniale "La Société du Spectacle", ispiratore tanto del Sessantotto quanto della televisione commerciale, Debord è stato e rimane un intellettuale sfuggente, dalla "cattiva reputazione"

Per dire delle famiglie intellettuali da cui promanano tutte le sfrontatezze generazionali del Sessantotto è raro leggere in Italia di Guy Debord, della pattuglia situazionista da lui creata nel 1957, dei lettristi che a Parigi già nel 1946 avevano  impugnato il testimonio della rivolta assieme letteraria e antropologica che era stata un tempo dei dadaisti. Per dire del personaggio il più vistoso di quella progenie, il Guy Debord autore del geniale La Société du Spectacle (1967), non so esattamente quanto siano stati diffusi e letti i suoi libri in Italia. Credo poca cosa, e anche se sono certo suoi ammiratori due personaggi chiave nella storia della televisione italiana, il Carlo Freccero che stava seduto accanto a Silvio Berlusconi nello scantinato di Milano 2 dove nacque la televisione commerciale, e l’Antonio Ricci che s’è inventato una delle trasmissioni quotidiane più longeve dell’intero palinsesto televisivo, “Striscia la notizia”, e di cui invidio la collezione che so essere copiosa dei testi originali del lettrismo e del situazionismo. Venti e passa anni fa avevo preso a mia volta a collezionare quei testi, comprati dal libraio antiquario torinese Fabio Freddi.

 

 

I due libri che fanno da vertice letterario e culturale del situazionismo, il libro di Debord citato e il Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations di Raoul Vaneigem (anch’esso del 1967), furono i due libri più venduti durante il “joli mai” parigino, ma anche i due più rubati nelle librerie in una Parigi in cui vivevano centinaia di migliaia di studenti universitari squattrinati. E del resto erano tutti amici e sodali di Debord i membri di quel groupuscule universitario che nel 1966 aveva vinto per caso le elezioni da cui a Strasburgo, sede della seconda città universitaria di Francia, sarebbe stato eletto il gruppo dirigente dell’Association fédérative générale des étudiants.

 

Dei diciassettemila studenti che studiavano a Strasburgo andarono a votare non più di un centinaio. Forte della bellezza di 35 voti venne eletto un “ufficio” di studenti che condividevano appieno le idee dei situazionisti parigini, a cominciare dallo studente tunisino Mustapha Khayati che era particolarmente in confidenza con Debord. Essere a capo del sindacato degli studenti di Strasburgo voleva dire avere a disposizione un bel po’ di soldarelli. E dunque fu lo stesso Debord a suggerire al sodale Khayati di usarli nella pubblicazione del pamphlet dal titolo De la misère en milieu étudiant, dove gli studenti venivano descritti come i più miserabili di tutte le fasce sociali, borghesi che vivevano con meno di un proletario a stipendio e dunque gente cui il pamphlet raccomandava la più radicale delle rivolte. Ne sarebbero scaturite cinquanta edizioni pubblicate in tutto il mondo, per un totale di 300 mila copie vendute. Di certo Dany Cohn-Bendit e gli altri “enragés” di Nanterre avevano una certa familiarità con codesta letteratura. Uno dei personaggi esemplari del palcoscenico di Nanterre, il diciottenne René Riesel (era nato nel 1950), aderì all’Internazionale situazionista giusto nel fatidico 1968, salvo poi esserne espulso e coperto di ingiurie da Debord nel 1971. Era la sorte riservata a tutti gli aderenti all’Internazionale situazionista, espulsi tutti uno dopo l’altro da un Debord che la sciolse quando ormai solo lui ne faceva parte.

 


L’autore de La Société du Spectacle s’era fatto “una cattiva reputazione” nella stessa Francia dove viveva e dove nel frattempo s’era separato dalla sua prima moglie, Michèle Bernstein, anch’essa una del gruppetto fondatore della Internazionale situazionista. E difatti nel 1993, un anno prima del suo suicidio, Debord pubblica da Gallimard l’ultimo suo libro dal titolo “Cette mauvaise réputation…” dove replica punto per punto alle critiche da cui era circondato. A quelli che lo rimproveravano di essere un autore riconosciuto e affermato che non aveva più nulla in comune con l’iconoclasta che aveva partorito il suo famoso libro del 1967, Debord rispondeva che in realtà l’unico periodo della sua vita caratterizzato da un relativo agio finanziario era stato ai tempi della sua gioventù, quando era stato imbattibile al tavolo del poker e questo non perché barasse e bensì perché era un consumato stratega.


Difficile dire quando maturò la sua decisione di porre fine alle sofferenze micidiali che gli causava la polinevrite di origine alcolica di cui soffriva da tempo. La sua razione quotidiana di alcol, probabilmente inscindibile dalla sfida di vita e di pensiero durata una vita, era impressionate. Cinque o sei bottiglie di vino rosso al giorno, tutti i giorni. Al tempo della creazione dell’Internazionale situazionista, quando era ospite di amici liguri dalle parti di Cosio d’Arroscia, lui che non si alzava mai dopo le sette del mattino andava subito a sedersi al bar della cittadina ligure. La padrona del bar arrivava verso le otto e gli metteva a portata di mano una bottiglia di vino rosso. Quando un’ora dopo arrivavano gli altri membri del gruppo, Debord aveva già tracannato due bottiglie di vino.

 

“Ho letto molto, ma ho bevuto di più. Ho scritto molto ma meno della maggior parte di quelli che scrivono, ma ho bevuto molto più della maggior parte di quelli che bevono” aveva scritto una volta. Da fluviali bevute durate 48 ore assieme a un altro protagonista dell’avanguardia europea, il danese Asger Jorn, era nato nel 1957 uno dei più bei libri d’artista del secondo Dopoguerra, lo splendido Fin de Copenhague del 1957, pagine che non avevano confini formali o di genere espressivo da quanto vi colluttavano le colate di colore le più furibonde e le immagini stralciate a vanvera dalla cronaca politica del tempo. Alla morte di Debord, lo Stato francese acquistò il suo archivio a un prezzo che non era mai stato pagato per un archivio del Novecento.

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