Terrazzo

Non basta trasformare parcheggi in piazze: com'è triste San Babila a Milano

Silvia Botti

Il Comune milanese da tempo ha smesso di pensarsi committente per la risistemazione delle piazze.  Che da tempo viene affidata agli investimenti dei privati, come nel caso dell'Apple Store di piazza Liberty. Dov’è finito il design? 

Piazza San Babila, porta d’accesso al Quadrilatero della moda, nella sua rinnovata scenografia appare la sintesi perfetta dell’idea di eleganza che ha segnato questi anni. Tra lampioni, arredi e strutture, i progettisti sembrano aver giocato con tutte le tendenze: il mix and match, l’ugly chic, le texture discordanti e pure il ritorno del grigio. Della distesa di porfido che sembra cemento a colpire sono soprattutto i particolari: la linea di demarcazione di pietra chiara che separa il nuovo allestimento della sistemazione progettata da Luigi Caccia Dominioni; le luci, che da un lato sono gli storici pali illuminanti disegnati da Ignazio Gardella e dall’altro comunissimi lampioni stradali; l’accesso alla M4, l’ultima nata tra le linee della metropolitana milanese che sotto piazza San Babila incrocia la M1, ma in superficie rifiuta di incontrarla. E infatti gli ingressi alla stazione sono due, nella stessa posizione, perfettamente paralleli, a neanche un metro di distanza. Solo che da una parte, c’è il segno inconfondibile del progetto di Franco Albini e Franca Helg con Bob Noorda, dall’altra, un catafalco di cemento grigio sproporzionato e insieme misero. 

Milano da tempo ha smesso di pensarsi committente, non assolda professionisti e tantomeno maestri. Le risistemazioni delle piazze (e degli spazi pubblici) nascono principalmente dalla collaborazione coi privati, come è successo con M4 a San Babila, e si traducono in operazioni molto varie, fino allo sventramento. Il caso più famoso è piazza Liberty, quel grande scavo che oggi chiamiamo Apple store. Inaugurata nel 2018, la piazza è in realtà lo store, figlio del nuovo concept di Cupertino che mirava a costruire non semplici spazi di vendita ma “luoghi dell’incontro”. Così il negozio sta sotto terra, dove prima c’era il cinema Apollo, ma si connette alla città attraverso una grande scalinata, un “anfiteatro” dove sedersi tranquilli o assistere ad eventi, e un ingresso con cascata d’acqua che richiama i Navigli. Alla fine anche i più agguerriti oppositori all’operazione Apple hanno dovuto ammettere che è pur sempre meglio della precedente distesa di asfalto a uso parcheggio.

Senza l’iniziativa (e i soldi) di un privato il Comune di Milano non sembra riuscire a fare molto. Anche l’urbanistica tattica è frutto di una collaborazione con l’organizzazione filantropica dell’ex sindaco di New York Michael R. Bloomberg: ciò che nel resto d’Europa nasce spontaneamente dagli abitanti o è portato avanti dalle amministrazioni locali, a Milano diventa “Piazze aperte”, un programma promosso dal Comune, sviluppato da Amat (Agenzia mobilità ambiente e territorio) in collaborazione con Bloomberg Associates e Global Designing Cities Initiative. In sostanza, diverse piazze di Milano, dalla periferia al cuore della città, in modo indifferente al contesto e al valore architettonico, sono state rinnovate con alberelli, fioriere, panchine, giochi e tinteggiate a terra con molta vernice colorata a segnare la differenza col grigio dell’asfalto dei percorsi automobilistici. Perché l’obiettivo principale è togliere spazio alle auto e restituirlo ai cittadini. Ottima idea. Qualunque cosa è meglio delle auto. Ma la Milano che si proclama capitale mondiale del design non dovrebbe avere l’ambizione di immaginare una propria via alla progettazione dello spazio pubblico, raccogliendo le sue migliori intelligenze creative e investendoci risorse sufficienti? 


 

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