Vladimir Shtanko / Anadolu Agency Photo via LaPresse 

Terrazzo

Tassonomia della barricata

Giulio Silvano

Nel libro di Wolfgang Scheppe, pubblicato da Nero, si possono vedere le manifestazioni dall'alto e gli oggetti affastellati sulla strada. Un collage di oggetti borghesi, dal semaforo al cestino della spazzatura, utilizzati contro la stessa borghesia

Stupiva, ai tempi della scuola, quando gli insegnanti di storia dicevano: “Il motivo per cui i governanti decisero di creare viali così larghi era per evitare la creazione di barricate”. Davvero la paura della rivolta dei propri cittadini può condizionare così tanto l’urbanistica delle città? 
Davvero i boulevard nascono per scongiurare la possibilità che persone arrabbiate e organizzate accumulino una quantità tale di materiali da bloccare l’avanzata dell’ordine costituito? Immaginario secolare quello delle barricate, dal quadro di Delacroix alle canzoni anarchiche della guerra civile spagnola – ¡A las barricadas! ¡A las barricadas!, por el triunfo de la Confederación – dalle pagine dei Miserabili fino alle stories di Instagram che vediamo oggi arrivare da Leopoli e Kyiv, dove si cerca di bloccare l’avanzata della Z putiniana con copertoni in fiamme, sacchi di sabbia, alberi.

 

La Francia ha un primato per le barricate, almeno nel repertorio visivo, dal ’500 ai gilet jaune, con due picchi, la Commune e il ’68. Sono proprio le immagini del maggio parigino che possiamo rivedere, ordinate con precisione per tema – dai cordoni di polizia alle vetture ribaltate –, nel libro di Wolfgang Scheppe, Taxonomy of the Barricade, pubblicato da Nero. Le foto provengono dalla Prefettura di Parigi, e tra quelle dei sampietrini divelti, dei gesti di violenza e ribellione, dei flic con scudi tondi da opliti o con mantelline cerate, delle macchine in fiamme, di bandiere rosse alle finestre delle facoltà o sul tetto dell’Odéon, di pompieri e passanti curiosi, di manifestanti trascinati via, vengono inserite quelle aeree fatte dagli elicotteri.

 

Qui si vedono, come in un pre-Google Maps live, le manifestazioni nelle piazze e nei viali, le strade bloccate da oggetti accumulati, dall’alto. Scheppe vede un’unicità, in questo senso, nel ’68 parigino: un primo incontro tra una forma datata di insurrezione, la barricata, e una tecnologia che ha un grande potere, il controllo dall’alto, la mappatura dei luoghi di rivolta, il monitoraggio immediato. “God’s-eye-view”, lo chiama, con un fare apocalittico, un po’ agambeniano. Un metodo di controllo che dalla aerofotogrammetria, quando Nadar si portava nell’800 la macchina fotografica sulla mongolfiera, porta ai droni biometrici che hanno ucciso il generale Soleimani. Ma oltre al lavoro archivistico di iconografia del controllo visivo poliziesco, Scheppe fa anche un altro ragionamento sulle barricate: ammucchiare oggetti sulle strade, pezzi di città accatastati in modo randomico, dal semaforo al cestino della spazzatura, gli fa perdere la loro funzione, i pezzi della città borghese cambiano anima e vengono usati contro la borghesia stessa
Sovrapposizione, assemblaggio, décollage. La barricata in fondo è un grande ready-made con funzione difensiva, la barricata è un collage.

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