La città ideale, dipinto anonimo del XV secolo

Terrazzo

Parlateci dei centri storici

Lorenza Baroncelli

Il Coronavirus può essere un'opportunità per migliorare la qualità della vita in città. E salvare i residenti dalla gentrification

Lo abbiamo detto spesso in questi mesi: il coronavirus ha accelerato processi che erano già in atto. L’urbanistica in questo non fa eccezione. Il dibattito tra architetti e amministratori che si sta svolgendo in queste settimane è tutto incentrato sulla ridefinizione della città post pandemia. Stefano Boeri ha proposto un modello interessante e romantico sul ritorno alla vita nei borghi. Un pensiero che trae una poderosa ispirazione anche dalla mostra “Countryside” di Rem Koolhaas inaugurata al Guggenheim di New York proprio pochi giorni prima dello scoppio del coronavirus in Europa. Altri, io sono tra questi, pensano che nonostante una certa condivisibile avversione verso l’eccesso di densità e l’oggettiva fascinazione che la vita nella campagna esercita su tutti noi, il mondo post pandemico rimarrà ostinatamente urbano, piaccia o no. In questa direzione vanno precisi modelli innovativi che si propongono di migliorare la qualità della vita nella città.

    

Impossibile non citare Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, che ha formulato l’idea della “Città in 15 minuti” con servizi adeguati in ogni quartiere per limitare gli spostamenti. Quello che a mio avviso è mancato fin qui al dibattito è il ruolo cruciale che i centri storici potranno svolgere in futuro. Tema antico, affascinante e decisivo per un paese ricco di storia come il nostro. Personalmente resto convinta che non possiamo abbandonare tutta questa grande, irriproducibile bellezza. Proprio questi luoghi, orfani del turismo internazionale e dei lavoratori delle grandi aziende, chiusi nelle loro case in smartworking (a Milano l’Epam registra un calo del 70 per cento delle pause pranzo) sono quelli che hanno sofferto di più nell’estate 2020. Come sottolineano i dati di Confcommercio, nelle città d’arte siamo ai medesimi livelli di perdita di giugno, cioè non c’è stata nessuna ripresa dal lockdown. Le nostre meravigliose downtown, orfane dei turisti internazionali, sono rimaste praticamente deserte mentre le località vicine, popolate da italiani che quest’anno hanno privilegiato il turismo di prossimità, hanno complessivamente tenuto. Una tendenza precisa che sembra valere indistintamente da nord a sud. Venezia ha sofferto più di Jesolo, Firenze più di Forte dei Marmi, Roma più del Circeo.

   

Succede in tutto il mondo. E così il Covid con le sue gigantesche conseguenze ha finito per riaprire il dibattito, già molto acceso, sulle “World Tourism Cities”, un ristretto numero di località iconiche, veri e propri Luna Park del turismo, che da sole nel 2018 hanno raccolto più di 220 milioni di persone, il 17 per cento dei viaggiatori di tutto il mondo. Numeri in crescita esponenziale ottenuti grazie a due elementi fondamentali: la moltiplicazione dell’offerta di voli low cost e di affitti a breve termine. Se questa tendenza da un lato ha generato indubbi benefici dal punto di vista economico, nel lungo termine rischia di produrre però anche effetti collaterali indesiderati e non trascurabili. E’ quello che in gergo tecnico viene definito gentrification, la progressiva espulsione dei residenti a causa dell’aumento dei valori immobiliari con conseguente perdita di identità dei luoghi. Sia chiaro, un cambiamento radicale è impossibile, e del resto nessuno sogna Venezia senza visitatori (nel 2018 ce n’erano 45 per ogni abitante – fonte Nuwto) ma lo choc della pandemia può essere un’occasione per costruire un approccio e un’offerta turistica diversa, maggiormente qualitativa e responsabile e un rapporto più equilibrato con i residenti, riportandoli a contatto con i luoghi simbolo delle proprie città. I contributi per le attività commerciali, un aiuto da oltre cinquecento milioni di euro giustamente messi a disposizione dal governo per alleviare le conseguenze economiche del coronavirus, potrebbero essere uno strumento prezioso da convogliare in questa direzione.

    

Nessuno può prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, i numeri della pandemia e le conseguenze che il Covid avrà sugli spostamenti delle persone, ma del resto se in questa estate gli italiani hanno scoperto, o riscoperto, molte meravigliose località marittime e montane del nostro paese la stessa cosa può succedere in autunno per le città d’arte.

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