L'hotel Romazzino in una foto d'epoca

Vita smeralda

Michele Masneri

Sessant’anni di Sardegna da ricchi. Nel giugno 1959 l’acquisto dei primi terreni. Poi l’Aga Khan, Berlusconi, gli emiri. E Di Maio

Mentre anche Luigi di Maio ne calpesta le auguste spiagge, cade proprio in questi giorni il sessantesimo anniversario della Costa Smeralda. Sessant’anni fa, il 14 giugno 1959, venivano infatti venduti i terreni di Porto Cervo: un astuto imprenditore del continente, il milanese Giuseppe Mentasti, re dell’acqua San Pellegrino oggi svizzera, comprava con un maxi rogito i terreni di Porto Cervo dalla famiglia locale Orecchioni (sic). Con atto del notaio dott. Mario Altea di Tempio Pausania passavano di mano 145 ettari che saranno la base poi per la mega colata di cemento che costituirà quel parco a tema. Mentasti veleggiava col suo “Croce del Sud”, in Gallura e già nel 1954 aveva comprato l’isolotto di Mortorio. Poi venderà tutto, nel 1963, al vero developer di quel sogno: l’Aga Khan.

 

Nacque così quella architettura mediterranean-eolian-provenzale coniata dal trio di architetti Luigi Vietti, Michele Busiri-Vici e soprattutto Jacques Couelle. Lo stile “Costa Smeralda” prevede pinnacoli e portici, tralicci dell’alta tensione nascosti in eleganti torrette nuragiche, intonaci finti sgarrupati per immaginarie ville da Brianza marinara, giardini verdissimi all’inglese come a Garbagnate, ma fino al mare; e integrazione del pilastro monolitico col “patio”, la “trave a vista”, il cotto, la finestra panoramica sul Golfo di Marinella, il camino bianco, la tavernetta, i coppi invecchiati, la piscina azzurra non ancora a sfioro. Tutti topoi imprescindibili di quegli anni; la Brianza sur Mer, realizzazione del sogno del cumenda, il brivido del mare col comodo del green e del posto auto. Sublime summa di questa temperie era il Cala di Volpe, grande cattedrale alberghiera del deserto, Chateau Marmont a cinque stelle con infinito pontile, torrette svettanti, canali come a Amsterdam e Venezia, finestrelle strette da convento sul monte Athos, e minareti moreschi (dunque perfetta integrazione culturale ottomana).

  

E poi gli astuti pietroni segnaletici con scritto “Costa Smeralda” sulla roccia, perfetti per i selfie: la Costa Smeralda ha generato tanta mitologia – e cinematografia. Dalla “buttana industriale” della oggi riscoperta Lina Wertmüller al Christian De Sica che si fingeva “Cristiano Gardini”, un immaginario figlio di Raul, in un ennesimo remake del conte Max nel vanziniano “Fratelli d’Italia” (celebre per una battuta pre-Merkel: “Di fronte al marco pesante m’arendo”). La Costa Smeralda era legata al mito esotico-araldico dell’Aga Khan, sovrano dell’islam dal volto umano e dagli interni in pelle. Più recentemente è arrivata un’altra famiglia regnante di più solido islamismo, gli emiri del Qatar, che come da loro ragione sociale si sono comprati tutto: il Cala di Volpe ma anche il Pitrizza, il Romazzino (in foto) insieme allo Yacht Club Costa Smeralda e il Pevero, insomma tutti i simboli di quella colata di cemento intelligente che negli anni Sessanta aveva trasformato la più povera isola italiana nella più povera isola italiana con Yacht Club e commissione architettonica. Nel frattempo cambiavano le utenze: arrivò un altro sultano, il Cav., e con villa Certosa l’immaginario cambiò.

 

Oggi si sa che gli emiri vogliono vendere, perché non li lasciano costruire tutto quello che vorrebbero (esagerati), e nel frattempo è arrivato anche Di Maio, che passeggia forse strategicamente dividendosi tra Poltu Quatu (località già nota soprattutto per lo Smaila’s) e la Maddalena (luogo di ritiri araldici-velistici), a torso nudo. Destando simpatie: mentre solo quindici anni fa Berlusconi venne lì molto vituperato per una camicia aperta al petto e una bandana, outfit che oggi risulterebbe elegantissimo, perfino quasi formale.

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