sullo schermo

“Hunger”, il film su Netflix che parla dell'ossessione per il cibo thai e racconta la politica

Massimo Morello

Nella produzione disponibile sulla piattaforma di streaming si parla di cucina. Ma la storia s'intreccia con la cultura del paese

Bangkok. “Devi conoscere una persona. Ha rilevato uno storico ristorante di Bangkok e vuole rilanciarlo. Ci ha investito 178 milioni di baht. Parliamo di cinque milioni di euro. Adesso cerca qualcuno che racconti questa storia”. Quella storia è ancora da raccontare e il ristorante deve ancora aprire. Per il momento è l’ennesimo caso di sincronicità, le coincidenze significative che in Asia ti scandiscono la vita. Perché la persona che ha rilevato lo storico ristorante di Bangkok, ristorante italiano possiamo anticipare, chi ne parla e quelli che ne attendono l’apertura sperando di essere invitati o sicuri di esserlo, tutti sembrano personaggi di “Hunger”, il film thailandese trasmesso sulla piattaforma Netflix dal 6 aprile. 

 

La trama è semplice. E’ la storia di Aoy, giovane cuoca nel ristorante di famiglia. Uno di quei ristoranti di Bangkok dove si mangia con due euro, in genere un piatto di pad krapao, ossia riso, basilico fritto, maiale e uovo. Non fosse così giovane, Aoy, interpretata da Chutimon Chuengcharoensukying, sembrerebbe modellata su Jay Fai, che a 74 anni è tuttora “esile come un giunco di bambù”, titolare di un ristorante di street food che nel 2017 è stata consacrato con una stella Michelin. Grazie soprattutto grazie alla maestria con cui lei maneggia il wok. Per la stessa abilità, Aoy entra a far parte della brigata di Chef Paul, lo chef dell’ammart, l’élite.

Com’è ovvio Aoy si fa notare, ma abbandona Chef Paul quando lo vede cucinare un magnifico uccello di una specie protetta cacciato da un ripugnante miliardario. Nel frattempo, è stata notata da un giovane e intraprendente imprenditore, ma alla fine… Tutto finisce come vorrebbe il governo, in un trionfo di economia sostenibile, etica buddhista, valori tradizionali.

 

E’ un film che al pubblico occidentale può apparire grottesco, granguignolesco, ma anche ingenuo o stereotipato. Per un thai o per un expat, uno straniero che viva in Thailandia, è una rappresentazione antropologica. Viene in mente “Il crudo e il cotto” di Claude Lévi-Strauss, nel contrasto tra natura e cultura, tra natura e società. Solo che qui il contrasto diventa più profondo, riguarda la struttura stessa della società. 

 

“La cucina non è democrazia, è una dittatura”, dice Chef Paul. Affermazione che abbiamo sentito spesso a “Masterchef” (e Chef Paul, interpretato da un Nopachai Chaiyanam, sembra una versione asiatica di Chef Cracco, fisicamente e caratterialmente). Ma in questo caso il principio d’autorità in cucina non è che il riflesso di un sistema definibile nel rapporto “pii-nong”. Vale a dire anziano-giovane. Meglio ancora: maggiore-minore. Un rapporto molto complesso: riguarda l’età, le gerarchie familiari, professionali, economiche, sociali, culturali. E’ un sistema che ha creato notevoli tensioni, perché tende al mantenimento dell’establishment, cristallizza le stratificazioni sociali, già viste come un’espressione del karma individuale, un destino assegnato a ogni individuo in funzione dei meriti acquisiti nelle vite precedenti.   

 

“Hunger” rappresenta in modo perfetto questa dimensione psicopolitica. L’alta cucina, il fine dining è uno degli status symbol in un paese dove si moltiplicano i ristoranti stellati. “Si mangia per rappresentarsi agli occhi degli altri, la storia non è solo la fame di cibo, ma la fame che è dentro ognuno di noi”, ha dichiarato il regista Sitisiri Mongkolsiri, uno degli artefici della nouvelle vague thai. 

 

Lo chef Paul, personificazione dello chef privato, personaggio che a Bangkok sta diventando protagonista degli eventi più esclusivi, ci introduce nel mondo dell’ammart. Che sia quella politica e militare – e, sia pure con molti sottintesi, della nobiltà – quella economica – di quell’uno per cento della popolazione che controlla il 66,9 per cento della ricchezza nazionale – o dello star system. E’ inevitabile, ad esempio, identificare il personaggio del cacciatore in Premchai Karnasuta, a capo di una delle maggiori imprese di costruzioni thailandesi, che qualche anno fa è stato incriminato per “caccia illegale e detenzione illegale di carcasse di animali protetti”. Una scena del film sembra ricalcata dalle foto pubblicate dopo il suo arresto.  Alla vigilia delle elezioni, il 14 maggio, anche “Hunger” può essere un mezzo di propaganda. Difficile capire a favore di chi. Ma ancora una volta tutto finirà con un “Kong kob kiao”, un invito a “mangiare una cosa”. 

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