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Nong Bua Lamphu

La strage dell'asilo in Thailandia rivela il dramma sociale ed economico del paese

Massimo Morello

Panya Kamrab, ex poliziotto, ha fatto irruzione, armato, in una scuola. Ha ucciso almeno 34 persone, di cui 24 bambini. Dietro la tragedia si celano le contraddizioni di una nazione economicamente allo stremo, alle prese con la droga e in balia di un'autocrazia occulta, dove la pazzia e  la violenza possono esplodere in qualsiasi momento

"Yaa Baa” significa “droga che fa impazzire”. Probabilmente sono proprio queste micidiali metanfetamine che hanno fatto impazzire Panya Kamrab, 34 anni, ex sottufficiale di polizia. Nel pomeriggio del 6 ottobre ha fatto irruzione in un asilo della provincia di Nong Bua Lamphu, nel nord-est della Thailandia, armato di un fucile ed ha ucciso 26 persone di cui 24 bambini. Dopo la strage, Kamrab è fuggito e lungo la strada sembra abbia ucciso, sparando o investendole, altre 8 persone e ferendone 12. Una volta arrivato a casa ha fatto altre quattro vittime, compresa sua moglie e suo figlio. La strage si è conclusa quando Kamrab ha rivolto l’arma contro se stesso.

L’uomo era stato espulso dalla polizia proprio perché trovato in possesso di yaa baa, e considerato ormai recidivo dopo che era già stato denunciato per il suo comportamento violento in seguito all’assunzione di droga, 
 

La yaa baa è stata chiamata così, la droga che fa impazzire, per tentare di limitarne l’uso con la minaccia di terribili conseguenze sulla psiche. Che per molti thai possono trascinare la vittima in una dimensione popolata da spiriti mostruosi e malvagi. Il problema è che la yaa baa esercita un’attrazione più forte della paura, almeno tra le classi più povere. Il nome originale era “yaa maa”, la droga da cavalli, per evidenziare il fatto che permetteva di sottoporsi a ritmi di lavoro altrimenti impossibili. In una situazione come quella attuale, in cui povertà e disoccupazione sono state esasperate prima dalla pandemia e poi dalla crisi economica e dall’inflazione, è divenuta anche l’ultimo rimedio alla disperazione. Tanto più che i grandi produttori di metanfetamine, favoriti dalla situazione di caos nei territori birmani consacrati al traffico di droga, hanno “intenzionalmente abbassato i prezzi”, come ha recentemente dichiarato Jeremy Douglas responsabile per il Sud-est asiatico dell’ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (UNODC). Così, quando una dose di yaa baa costa quanto un cartone di latte, è facile immaginare quale sia la scelta di chi non ha più molte scelte.

Forse non è un caso che la strage del 6 ottobre si sia verificata proprio in un’area, il nord-est della Thailandia, che è la più povera del paese, da sempre serbatoio di manovalanza, da dove provengono gli operai, i conducenti di taxi e mototaxi e le prostitute di Bangkok. Molti dei quali per la pandemia e la crisi economica sono tornati al villaggio d’origine. È nella stessa zona che nel febbraio del 2020 un soldato ha sparato uccidendo 29 persone e ferendone 57. In quel caso la pazzia era stata innescata dalla paura di vedersi privato della casa. 

 

In un paese come la Thailandia, dove episodi del genere non sono frequenti, tante coincidenze, la droga, le difficoltà economiche, la regione d’origine, l’appartenenza all’esercito o alla polizia che di fatto non controllano le armi detenute dai loro uomini, inducono a serie riflessioni. “Ci troviamo in un labirinto e non riusciamo a venirne fuori” ha dichiarato Surachart Bamrungsuk, professore di scienze politiche alla Chulalongkorn University di Bangkok. Secondo lui in Thailandia si sta creando un vero e proprio scontro tra modi di vivere. Una riflessione che nel giorno della strage di bambini appare tanto più grave. Il professore, infatti, era uno dei leader della rivolta studentesca che il 6 ottobre del 1976 si concluse col massacro di 40 studenti che protestavano contro il governo militare. 

 

Tra i due episodi non ci sono similitudini evidenti e il contesto storico è molto diverso. Ma si possono rivelare connessioni più sottili. Nel 1976 le manifestazioni e la repressione avvennero nel momento in cui la Thailandia era la tessera fondamentale nel conflitto che si stava svolgendo in sud-est asiatico. Oggi la Thailandia si sta dimostrando uno dei paesi in cui si materializza una forma di autocrazia occulta che sembra la nuova filosofia politica della regione. Ma soprattutto un paese in cui l’1 per cento della popolazione controlla il 66,9 per cento della ricchezza. Dove la pazzia, come la violenza possono esplodere in qualsiasi momento.

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