(foto Unsplash)

La nuova serie su Apple Tv, dove le voci corrono ai confini della realtà

Mariarosa Mancuso

Come immagini, in “Calls”, ci sono solo led colorati e parole pronunciate dai protagonisti senza volto

Viva la radio. No, non parliamo di Clubhouse. Dopo anni di cuffie, microfono, interviste, parti noiose tagliate via, l’iniziale curiosità scende. Sale un brivido di terrore, al pensiero di conversazioni senza vincoli di durata né obbligo di competenza (si parla tanto male di Twitter, ma per leggere un tweet basta un’occhiata, l’audio scorre in tempo reale). Parliamo di “Calls”, la nuova serie su Apple Tv. Showrunner Fede Alvarez, che ha ripreso un’idea di Timothée Hochet: la prima stagione della serie originale era in onda su Canal Plus a dicembre del 2017 (poi ce ne sono state altre due). 

 

L’idea si chiama radiodramma, o podcast se volete essere moderni. L’originale francese mostra sullo schermo led colorati e lampeggianti. E le parole pronunciate dai protagonisti senza volto. Agli americani pareva troppo poco, hanno aggiunto leggiadre forme d’onda multicolori, come quelle che compaiono sui monitor degli studi radio. Il resto sono conversazioni registrate, le più varie. Telefonate, appelli di soccorso, scatole nere, segreterie telefoniche, programmi radio, walkie-talkie, dittafoni, microfoni su un set. Le voci cominciano tranquille – non sempre, qualcuno chiama la polizia, altri scappano dalla fidanzata incinta – e via via svelano situazioni di pericolo. Realistiche all’inizio, tendono a svoltare verso il soprannaturale: viaggi nel tempo, vicini che ricevono telefonate da se stessi, doppi, bestie fameliche del paleolitico scovate durante un’immersione. Dicono che poi la trama si chiarirà.

 

Per ora “Calls” somiglia moltissimo (coincidenza?) al Conspiracy Theory Café – o Caffè del Complotto – inventato da Don DeLillo in “Underworld”, colossale romanzo uscito nel 1997. Un locale a San Francisco dove ascoltare, comprare, scambiare, intercettazioni telefoniche – di chiunque. Siccome ogni fantasia romanzesca di grande scrittore prima o poi si avvera, esiste un podcast chiamato Conspiracy Cafe che riciccia l’intero assortimento. E proprio qui sta il difetto della serie – troppo paranormale in soli nove episodi, durano tra il quarto d’ora e i venti minuti. Si possono far fuori in una serata, se resistete allo schermo psichedelico, e alla lettura veloce delle parole in sovraimpressione – non è gente che sta dietro un leggio, imposta la voce, scandisce ogni sillaba. Lasciato DeLillo, la serie di riferimento è la classica “Ai confini della realtà”, con la voce di Rod Sterling che prometteva una gita nella “twilight zone”. Ma erano storie più vicine alle nostre illusioni e paure. Per esempio, il giorno libero dei manichini, che escono dal grande magazzino per una passeggiata e si fanno rimorchiare da un poveretto ignaro di tutto. O il lettore con moglie bisbetica che gli cancella le righe dei libri. Quando finalmente ha tempo per leggere gli cadono gli occhiali spessi da miope – siamo dopo una catastrofe nucleare, si è salvato perché era nel caveau della banca. Il primo episodio di “Calls” si intitola “The End”, il secondo “The Beginning”, non è rassicurante neppure “It’s All in Your Head”, con la voce di Rosario Dawson. Uno spreco non vederla, ma anche la dimostrazione che la ragazza sa recitare – tutto il cast vocale è di prima classe. Dirige Fede Alvarez da Montevideo, che con l’audio è in fissa. Qualche anno fa ha girato “Don’t Breathe”, raro horror originale. Tre sbandati tentano una rapina facile, a casa di un reduce cieco dalla guerra del Golfo, benestante per via dell’assicurazione che lo ha risarcito per la figlia morta. Lui per prima cosa fa saltare il contatore: al buio, il vantaggio è suo. Come faceva la cieca Audrey Hepburn in un vecchio film intitolato “Gli occhi della notte”.

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