Commissione di Vigilanza Rai - Audizione vertici Rai Nella foto Fabrizio Salini (ad Rai), Marcello Foa (pres. Rai), Alberto Barachini (pres. comm Vigilanza)

Lo spasso di ascoltare il presidente della Rai in commissione di Vigilanza

Giampaolo Di Mizio

“Di Maio e Salvini tolgono spazio ai propri partiti, non alle opposizioni”. La meravigliosa tesi di Marcello Foa

Roma. Le presenze di Matteo Salvini e Luigi Di Maio dominano nei tg, ma solo perché sono allo stesso tempo vicepremier e leader dei due partiti di governo. La loro iper presenza però non toglie spazio all’opposizione, ma ai loro stessi partiti. Questa la meravigliosa tesi usata ieri dal presidente della Rai, Marcello Foa, per difendere la tv pubblica gialloverde dalle accuse di poco pluralismo, che non vengono solo dalle forze di opposizione ma anche dall’Agcom, che ha già fatto due richiami alla tv di stato (l’ultimo il 22 febbraio) per eccesso di spazio concesso all’esecutivo. Per tutta la durata del suo intervento in commissione di Vigilanza Foa ha elencato percentuali e fatto paragoni col passato. Ha detto che “da giugno 2018 alla fine di marzo 2019 a maggioranza e governo è andato il 50 per cento del tempo in voce, all’opposizione il 25 per cento, ad altre forze il 5 per cento e alle istituzioni il 10 per cento” e ha aggiunto che “con il governo Renzi, maggioranza e governo avevano il 59 per cento mentre le opposizioni al 26 per cento”. Ma il record, secondo questi dati, lo batterebbe “il governo Gentiloni, col 78 per cento tra maggioranza e governo e l’11 per cento per i partiti di opposizione”.

 

La lunga sequela di numeri e percentuali col bilancino, però, non è appassionante, anche se la storia che Salvini e Di Maio in video avrebbero danneggiato Lega e M5S resta curiosa. In realtà la notizia dell’intervento di Fabrizio Salini e Marcello Foa in commissione di Vigilanza, ieri a San Macuto, è che l’audizione è stata monca. Salini e Foa, chiamati in Parlamento a riferire sul piano industriale approvato dal cda il 6 marzo scorso, hanno presentato la loro relazione ma, al momento di iniziare con le domande dei parlamentari (la parte più attesa, col Pd pronto alla battaglia), tutto è stato rimandato alla prossima settimana. Motivo? Erano già le 13.20 e alle 14 sarebbe iniziata la seduta a Montecitorio. Normale amministrazione, se non fosse che questa tiritera va avanti da quasi un mese. La prima convocazione di Salini e Foa, infatti, risale a giovedì 14 marzo, con la Vigilanza saltata a causa dei lavori parlamentari. E così si è andati avanti nelle settimane successive: la commissione veniva fissata agli orari più disparati nei giorni di martedì, mercoledì o giovedì e puntualmente saltava. Mai una volta, per dire, che venisse in mente a qualcuno di fissare l’audizione il lunedì pomeriggio o il venerdì mattina. Ma il problema è sempre lo stesso: il grosso del lavoro in Parlamento, tra aula e commissioni, è nei tre giorni centrali della settimana, dove l’ingolfamento è la norma. E così le audizioni – specie quelle sulla Rai dove tutti i parlamentari vogliono essere presenti (un po’ per controllare gli altri e marcare il territorio, un po’ perché occuparsi di mamma Rai dà potere e visibilità) – saltano che è una bellezza. L’ultimo a porre con forza il problema del calendario dei lavori fu, da presidente della Camera, Gianfranco Fini, che tentò di spalmare gli impegni del Palazzo dal lunedì a venerdì. Poi più nulla. E così nessuno si meraviglia più se il Parlamento ci mette un mese per “audire” Salini e Foa, e per giunta solo a metà. Nella sua relazione, Salini ha elencato i punti salienti del piano: le otto direzioni di contenuto, l’importanza di un unico grande portale web, la necessità di recuperare il gap digitale (“la Rai è rimasta indietro”), il canale in inglese, i canali maschile e femminile, quello istituzionale. “L’azienda ha bisogno di governance stabile e certezza sulle risorse. Non possiamo ogni anno rivedere tutto”, ha detto l’amministratore delegato, dolente per la perdita dell’extragettito del canone in bolletta. Salini prevede un ritorno del bilancio in attivo solo nel 2021: 2019 e 2020 saranno in rosso.

Giampaolo Di Mizio