Una scena di Il Miracolo (foto Sky)

Il primo Miracolo di Ammaniti è stato raccontare una storia senza farci prediche

Piero Vietti

La serie tv di Sky e le nostre domande di fronte a un mistero

Roma. Che cosa farebbe ognuno di noi, se si trovasse di fronte a una statua di plastica raffigurante la Madonna che piange ininterrottamente sangue dagli occhi? Si inginocchierebbe a pregare, resterebbe scettico cercando di scoprire dove è il trucco, ne sarebbe spaventato, ritroverebbe una speranza improvvisa? Sono andate ieri sera in onda su Sky Atlantic le ultime due puntate de Il Miracolo, serie tv scritta e diretta da Niccolò Ammaniti con Francesco Munzi e Lucio Pellegrini.

   

   

Premiata all’estero e celebrata sui media italiani, le otto puntate del Miracolo sono state salutate come una novità finalmente all’altezza del mercato internazionale della serialità televisiva e in streaming. Ammaniti è partito da alcuni classici che in Italia funzionano da sempre: il mafioso, il prete, il politico, il poliziotto, un tocco di religione nella trama. Solo che li ha smontati, restituendoli allo spettatore dentro a una storia senza tratti rassicuranti né risposte definitive. Li ha deviati dai binari sicuri della lotta tra il bene e il male, ne ha strappato i santini – buoni e cattivi – in cui anni di fiction televisiva italiana li aveva ormai fermati. L’inizio della prima puntata sembra una scena di Homeland: uomini dei corpi speciali fanno irruzione nel covo di un boss della ’ndrangheta pronti a sparare. Lo trovano però riverso in un lago di sangue. Dopo averlo portato via muto e inerte, si accorgono che quel sangue non è il suo. La statua che sanguina (nove litri all’ora) viene nascosta in un luogo segreto e controllata a vista dai militari. Viene informato soltanto il presidente del Consiglio, un progressista ateo che sta vivendo un momento molto difficile: l’Italia è alla vigilia di un referendum per uscire dall’euro e sua moglie, infelice e arrabbiata, lo tradisce in continuazione.

   

“Lei è credente?”, gli chiede il generale che coordina tutta l’operazione. “No, e lei?”. “Sì, anche se non pratico”. Davanti a loro un fatto, inoppugnabile e misterioso: una statua che raffigura quella che per i cristiani è la madre di Dio piange sangue. Questo fatto costringe tutti a farsi delle domande, e in qualche modo a cambiare. E’ così per la giovane ricercatrice che vuole studiare il Dna per scoprire di chi è quel sangue, è così per padre Marcello, il personaggio meglio riuscito della serie: un prete che ha ormai perso la fede, usa i soldi della parrocchia per giocare d’azzardo ed è un malato di sesso. Nessuno, davanti a quella statua, rimane uguale.

 


Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso: Elena Lietti, Guido Caprino, Tommaso Ragno, Sergio Albelli, Alba Rohrwacher, Lorenza Indovina (foto via Sky)


  

La storia è ambientata in una Roma impersonale, girata quasi tutta in interni senza orizzonte, con scene oniriche che si alternano a una realtà che a tratti sembra continuare quei sogni. In un crescendo disturbante e angosciante , e grazie all’uso centellinato di flashback che all’inizio di ogni puntata raccontano come tutto è iniziato, Il Miracolo costringe anche chi guarda a interrogarsi sul mistero, sul senso della vita e della morte, sulla presenza del divino nella realtà quotidiana, fino a fare desiderare di vedere la faccia di chi quel sangue dovrebbe averlo nelle vene. Prima di schiacciare il tasto del computer che attiva un programma che ricostruisce un volto partendo dal Dna, i protagonisti hanno un fremito: chi pensano che comparirà su quello schermo, Gesù Cristo?, si chiede il premier. “Siamo sicuri di dover essere noi a svelare questo mistero?”, gli fa eco il generale.

   

Il Miracolo è anche una storia sulla responsabilità che nasce dall’incontro con un fatto inspiegabile – va detto a tutti? Lo “usiamo” per noi? Cerchiamo di fermarlo? – e ha il pregio di non offrire risposte preconfezionate. Ognuno dei personaggi risponde come può e come sa. Con la voglia di farla propria o di trovare una definizione – religiosa o scientifica – che spieghi tutto. Ma è impossibile, e mentre le storie dei cinque personaggi principali precipitano, cambiano, hanno svolte drammatiche e imprevedibili, quella statuetta di plastica resta là, nascosta ma imponente. E in attesa di una seconda stagione.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.