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dal cyberpunk alle truffe

I signori delle crypto. Tutti sognano di essere Elon Musk

Pietro Minto

Il denaro reale perso o frodato in valute digitali è stimato in 10 miliardi di dollari. Ma in 15 anni Bitcoin e le altre hanno prodotto picchi di ricchezza stellare e creato un mondo a parte

C’è un simpatico cagnolino di razza Shiba, gli occhi stretti e l’espressione furbetta, ritratto in una fotografia che attorno al 2013 si diffuse su internet diventando un bizzarro meme: l’animale si mostrava sorpreso ma anche complice, in qualche modo, mentre tentava di comunicare con un inglese zoppicante fatto di “wow” e grammatica sbagliata. Spiegare i meme è una missione forse più disgraziata che spiegare le barzellette ma così ci tocca, perché l’assurdità di questo tormentone – subito ribattezzato “Doge”, variante dell’inglese dog – riesce a dimostrare la follia di un altro settore, quello del “crypto”, divenuto negli ultimi anni un affare da un trilione di dollari.

 

Nel dicembre di quel 2013, i programmatori statunitensi Billy Markus e Jackson Palmer decisero di partire da questo cagnolino per creare la parodia di una criptovaluta e della bolla speculativa che già all’epoca si stava formando attorno a Bitcoin e simili. Un progetto satirico, potremmo dire: prendere un meme assurdo, trasformarlo in un moneta virtuale per dimostrare quanto l’intero settore fosse ridicolo. Le cose non andarono secondo i loro piani: nel giro di poche settimane, Dogecoin, così fu chiamata la criptovaluta, finì per superare gli otto milioni di dollari di capitalizzazione di mercato, mentre oggi è a giunta a oltre i nove miliardi di dollari (ma nel maggio del 2021 salì oltre i 70 miliardi).

 

Il crollo del 2022

Se Dogecoin era una battuta, insomma, non è stata capita. O forse è stata capita fin troppo bene. Secondo la Legge di Poe – una delle regole non scritte della cultura digitale – qualsiasi parodia di un’opinione estrema espressa online diventa indistinguibile da una sincera espressione di quelle stesse opinioni. Realtà e parodia, satira e confessione personale finiscono quindi per sembrare la stessa cosa, su internet. Comunque sia andata, questa strana criptovaluta è il punto di partenza ideale per raccontare il successo del settore che chiamiamo “crypto” e il suo controverso rapporto con le truffe, gli attacchi hacker, le bugie e i furti di dati e monete virtuali. 

 

Molly White è una programmatrice informatica che per anni ha fatto la editor di Wikipedia. Lo scorso anno ha aperto il blog “Web3 is going great”, in cui archivia tutti i furti e le truffe che riguardano le criptovalute e quella grande prateria di speculazione che include metaversi, realtà virtuale, Nft – insomma, il sottobosco di tecnicismi nato all’ombra della blockchain, la tecnologia su cui si basano le criptovalute, da Bitcoin in giù. Nella homepage del suo sito, in basso a sinistra, si trova un numerino circondato da delle fiammelle animate: indica in tempo reale la quantità di denaro che è stato perso tra truffe e imbrogli nel settore. Nel momento in cui scrivo, è attorno ai 10 miliardi e mezzo di dollari. È molto probabilmente una stima per difetto.

 

A partire dal 2021, il mondo delle criptovalute si è fuso con quello dei Non-Fungible Token (Nft), i discussi certificati di autenticità di opere intellettuali che sono stati venduti a prezzi molto alti, indicando un nuovo probabile orizzonte di speculazione. Il boom degli Nft ha contribuito a gonfiare ulteriormente le valutazioni delle principali criptovalute (Bitcoin, Ethereum, Tether), in una crescita continua che si è interrotta agli inizi di quest’anno, quando, nel giro di pochi mesi, il mercato degli Nft si è prosciugato, valute di successo come TerraUSD si sono dissolte nel nulla, e una reazione a catena ha polverizzato prodotti finanziari che per mesi avevano raccolto valutazioni miliardarie. 

 

Il ventre molle del crypto sembra essere Discord, applicazione nata come chat per gli appassionati di videogame e diventata lo strumento dove progetti di questo tipo nascono e si sviluppano. Discord si organizza in “server”, che sono stanze virtuali spesso a tema, dove appassionati, imprenditori (ma anche malintenzionati) si radunano per parlare di Nft o nuove criptovalute. Nonostante il lessico tecnico sia molto complesso, in molti casi la partecipazione a progetti simili nel settore si traduce nell’aver accesso al server Discord ad esso dedicato. Di conseguenza, la truffa è in agguato e Discord è inondata di spam e bot truffaldini. Nel solo mese di luglio, per dire, almeno 101 server Discord dedicati agli Nft sono stati compromessi; a un certo punto, anche Lacoste, quella delle polo, si è messa in testa di darsi agli Nft, aprendo un server Discord apposito, che è stato prontamente hackerato, insieme a tanti altri (Clyde, Good Skellas, Duppies, Oak Paradise, Mono Apes…).

 

Esistono poi altri tipi di truffa, come il rug pull, che quest’anno ha bruciato beni per 2,8 miliardi di dollari (secondo i dati di Chainalysis). Il rug pull è uno dei rischi più elevati anche perché è il più semplice. Funziona così: uno sviluppatore promuove un nuovo progetto (un nuovo token, ad esempio) agli investitori – e poi sparisce nel nulla, portando con sé, nei casi più notevoli, anche decine di milioni di dollari. Ogni settimana si ha notizia di una nuova promettente linea di Nft che viene “pulled”, lasciando a terra qualche povero disgraziato che ci aveva sperato.

 

Satoshi e l’alba crypto

Vista da qui, dall’estate del 2022, il settore chiamato crypto non sembra godere d’ottima salute, né pare essere un ambiente sereno in cui investire i propri guadagni. E pensare che era nato in reazione a un sistema ritenuto corrotto e da riformare: per capire come siamo arrivati a questo punto è quindi opportuno risalire all’inizio di tutto, la creazione della prima criptovaluta della storia, Bitcoin. È la notte di Halloween del 2008, l’anno della Grande Crisi Finanziaria, quando qualcuno, sotto il nome di Satoshi Nakamoto, pubblica online un white paper intitolato “A Peer-to-Peer Electronic Cash System”. Il documento, lungo appena nove pagine, illustra un sistema per una valuta digitale e completamente decentralizzata, senza banche centrali né autorità vigilanti. 

 

Satoshi – la cui vera identità non è mai stata rivelata – parla di “digital cash”, contante digitale, che avrebbe utilizzato un particolare registro distribuito e immodificabile chiamato “blockchain”. Era nata Bitcoin (piccola nota formale: bitcoin con la b minuscola indica la valuta; Bitcoin con la B maiuscola indica la blockchain di cui si serve). La community a cui Nakamoto propose la sua invenzione era quella dei crittografi, una branca della crittologia che si occupa dei metodi per rendere un messaggio non leggibile o comprensibile alle persone che non sono autorizzate a leggerlo. Questa comunità aveva trovato nella Silicon Valley postbellica un terreno particolarmente fertile, dove la cultura hacker, la controcultura hippie e la fredda logica dei computer si scioglievano in un nuovo movimento culturale e politico, influenzato anche dalle posizioni libertarie care a una certa destra statunitense.

 

Si chiamavano cypherpunk e cominciarono a riflettere su come minare le basi del governo, sfruttando le possibilità offerte dalla rete. Uno dei loro obiettivi era proprio creare del denaro digitale (digital cash, come lo avrebbe chiamato Satoshi Nakamoto), senza stati, governi, banche centrali. Denaro non tracciabile, non controllabile. Libero.
Nonostante l’onda lunga dei cypherpunk, il white paper di Satoshi non ebbe un successo istantaneo. Bitcoin si diffuse lentamente e rimase a lungo l’unica criptovaluta esistente al mondo. Il primo picco inaspettato del suo valore si registrò nel giugno del 2012, quando il sito Gawker pubblicò un articolo che fu per molte persone il primo punto di contatto con due nuove realtà: Silk Road e bitcoin.

 

Il primo era il famigerato mercato della droga e delle armi a cui si poteva accedere solo attraverso il “dark web”, un bazar degno di Star Wars in cui si poteva comprare tutto. Come? A spiegarlo ci pensava l’autore dell’articolo, Adrian Chen: “Silk Road non accetta carte di credito, PayPal o qualsiasi altra forma di pagamento che sia tracciabile o bloccabile. L’unica moneta di scambio qui sono i bitcoin”. L’articolo divenne virale e milioni di persone scoprirono l’esistenza di questa “criptovaluta”, il cui valore volò dai 9 ai 32 dollari nella settimana successiva alla pubblicazione dell’inchiesta. 

 

Dai cypherpunk al Web3

Sono passati dieci anni dal successo di Silk Road (poi chiuso dall’FBI) e la prima viralità di bitcoin. Da allora, tutto è cambiato, compresa la retorica che circonda l’invenzione di Nakamoto, che nel frattempo è diventata la punta di un iceberg colossale, composto da migliaia di criptovalute d’ogni tipo, ma anche Nft, Dao e tante altre oscure sigle. Un mondo che chiamano crypto, anche se recentemente è andato forte il nome “Web3”, ipotetica nuova frontiera della rete che un pezzo di Silicon Valley sta cercando di costruire. Nell’ottobre del 2021 il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha annunciato che il suo gruppo (che comprende Whatsapp, Instagram e altri servizi) avrebbe cambiato nome in Meta, sottolineando quando il futuro dell’azienda sarebbe dipeso da una nuova tecnologia su cui Zuckerberg ha già investito dieci miliardi di dollari: il metaverso. 

 

Nonostante i suoi investimenti sul campo virtuale, però, non è a Mark Zuckerberg che spetta la corona dell’imprenditore più vicino agli adepti del crypto. Elon Musk, tra i fondatori di PayPal e capo carismatico di Tesla, ha saputo legare il suo nome al settore delle criptovalute meglio di chiunque altro, arrivando a sostenere pubblicamente la stessa Dogecoin, nonostante le strane origini della valuta. Lo scorso anno ha assicurato che su Marte – pianeta dove da tempo promette sbarcherà una navicella di SpaceX – si useranno le criptovalute, alludendo proprio a Dogecoin, il cui valore è volato in pochi secondi. Ma Musk ha giocato anche con le quotazioni di Tesla, annunciando la possibilità di comprare automobili con la criptovaluta, oppure comprando e rivedendo bitcoin con estrema facilità.

 

Il risultato, oltre alla stellare quotazione della stessa Tesla, è visibile visitando l’account Twitter di Elon Musk, seguito da decine di milioni di persone (e aspiranti billionaire): ogni suo tweet è bersagliato da centinaia di bot (profili “finti”, programmati) che pubblicizzano una qualche criptovaluta poco affidabile, si fingono Musk stesso, parlano di offerte uniche per arricchirsi col crypto. Attorno all’account di Elon orbita da tempo un bazar di truffatori e hacker che hanno capito quanto l’imprenditore sia in grado di influenzare un settore ricco, ondivago e credulone come questo. (A tal proposito, c’è anche chi pensa che una delle vittime di questi bot sia lo stesso Musk, che da tempo si lamenta con Twitter, social network che ha tecnicamente comprato, salvo poi pentirsene, dell’alto numero di profili fake e truffaldini presenti nella piattaforma, senza rendersi conto che ad attirarli potrebbe essere proprio lui.)

 

Insomma, i truffatori del crypto sembrano conoscere le dinamiche dei social, riempiendo Twitter (e non solo) di bot con cui dominano – o inquinano – la conversazione. Secondo @rugpullfinder, un profilo nato per monitorare le truffe nel campo degli Nft, è proprio la presenza di molti bot e profili finti tra i sostenitori di un progetto uno dei principali segnali di rischio. Un aspirante investitore nel settore deve quindi controllare per prima cosa che il progetto crypto su cui ha messo dei soldi abbia dei sostenitori veri, umani, e non sia solo un’esca per qualche sprovveduto. Ma le truffe possibili hanno mille forme, come dimostra l’azienda che aveva raccolto su Kickstarter i fondi necessari a produrre un videogioco, Untamed Isles, per poi perderli tutti dopo aver investito in criptovalute. 

 

Il Congresso Usa e l’Unione europea sono al lavoro su nuove regolamentazioni che interesseranno il settore, ma sarà difficile combattere la cultura d’estremo laissez-faire che si è diffusa tra questi aspiranti o sedicenti imprenditori, che operano in un mondo in cui tutto è permesso e il rischio è sempre presente. Un mondo in cui l’importante è resistere, non farsi soffiare il wallet (il portafoglio digitale in cui sono custodite le criptovalute) e sperare che la crisi che ha colpito il settore finisca presto, in modo da diventare tutti ricchi come Elon Musk. Alla faccia di Satoshi Nakamoto.

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