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Per aggirare la censura a Shanghai si protesta con gli Nft

Pietro Minto

In Cina la blockchain viene usata in chiave antigovernativa, per fare controinformazione: recuperando l'originaria natura anarcoide

Negli ultimi giorni di marzo, la città di Shanghai ha iniziato un lungo e severo lockdown per il contenimento del Covid-19, durante il quale 26 milioni di cittadini non hanno potuto lasciare casa per alcun motivo, venendo spesso trasferiti in centri adibiti all’isolamento e alla quarantena. Oltre alle ripercussioni che questa politica sta avendo nella catena di approvvigionamento, già messa in ginocchio da due anni di pandemia, le restrizioni hanno anche acceso un forte dissenso interno, con molti cinesi che hanno espresso opinioni critiche nei confronti del governo centrale. Questo tipo di denunce e polemiche nei confronti di Pechino sono normalmente censurate sul web cinese, dove opera un forte controllo dei contenuti e dei temi “trattabili”. In particolare, un video intitolato “Voci di Shanghai” è stato molto condiviso sui social media, dove è stato censurato perché mostrava scene di abusi, disorganizzazione e disperazione legate al lockdown nella città.

Un contenuto diventato il simbolo di una protesta repressa, che ha trovato un improbabile alleato nella blockchain, la rete decentralizzata su cui si basano criptovalute come Bitcoin. Al di là delle sue note applicazioni finanziarie, infatti, la blockchain è soprattutto un registro digitale immutabile, in cui ogni elemento aggiunto viene mantenuto per sempre. Così, lo scorso 23 aprile, l’utente Twitter imFong ha deciso di trasformare una copia di “Voci di Shanghai” in un Nft, un attestato di proprietà digitale che si basa sulla blockchain per collegare un determinato contenuto a un utente proprietario. Da allora, la clip è stata “salvata” in altre 250 versioni, mentre podcast e articoli di giornale sono stati aggiunti alla blockchain, dove riposano senza che Pechino possa fare alcunché. Altri contenuti molto censurati online, e trasformati in Nft, riguardano Li Wenliang, il dottore cinese che provò invano ad avvisare le autorità cinesi sui pericoli legati al Covid-19, di cui poi sarebbe morto.

Gli Nft sono una relativa novità nel settore crypto. La loro fama è aumentata a dismisura a partire dal febbraio 2021, quando l’artista digitale Beeple (nome d’arte dello statunitense Mike Winkelmann) ha venduto all’asta l’Nft di una sua opera per circa 69 milioni di dollari. Fu l’inizio di un trend speculativo durato circa un anno e che sta ora sta vivendo un momento di crisi, tra un forte calo dell’interesse mediatico e un crollo del 92 per cento degli scambi quotidiani registrato lo scorso aprile. Alcuni Nft che nel 2021 erano stati venduti a cifre impressionanti oggi hanno quotazioni piuttosto basse, e spesso non trovano nuovi acquirenti. L’Nft del primo tweet della storia, ad esempio, venduto per 2,9 milioni di dollari un anno fa, oggi riceve offerte da poche centinaia di dollari.

La crisi del settore non sembra però riguardare quanto sta avvenendo in Cina con questi Nft, che non sono pensati per essere venduti a caro prezzo ma per restare online, disponibili a chiunque, per sempre: una forma di controinformazione basata sulla blockchain. Nella maggior parte dei casi, gli Nft di protesta cinesi si possono trovare su OpenSea, la principale piattaforma per lo scambio di questi contratti, a prezzi irrisori o simbolici. Uno di questi, come scrive il Wall Street Journal, è in vendita a 404 Ether (circa 78 mila euro), un prezzo piuttosto alto che serve solo a richiamare il codice di errore 404, quello delle pagine web inesistenti o rimosse, ricordando così il legame dell’oggetto in vendita con la censura. 

Questo particolare sfruttamento della blockchain in chiave antigovernativa ha anche favorito la diffusione di servizi come Arweave e InterPlanetary File System, pensati per produrre più copie dei contenuti salvati, distribuendole globalmente in modalità peer-to-peer. Un documento salvato in questo modo si moltiplica in una rete globale, rendendo difficile, se non impossibile, la sua cancellazione. 

E’ una strategia che fa buon uso della caratteristica fondamentale della blockchain, la decentralizzazione. Lo stesso creatore di Bitcoin, l’anonimo Satoshi Nakamoto, mirava a creare un “cash digitale” che non subisse le influenze di stati o banche centrali. L’approccio cinese sembra rifarsi all’origine della criptovaluta, sfruttando la natura anarcoide della blockchain per aggirare i controlli di regime.

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