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TikTok e criptovalute. Questa è l'estate della regulation sui fenomeni tech

Pietro Minto

"Dalla Cina vedono tutto". Tik tok è una porta sui dati degli utenti. Le criptovalute lo sono sui loro portafogli. Comincia l'epoca della protezione da parte dei governi

Un mese fa BuzzFeed pubblicava un’inchiesta sull’uso dei dati personali degli utenti statunitensi fatto da TikTok e dall’azienda che controlla il social network, la cinese ByteDance. Le rivelazioni giornalistiche non facevano che confermare i sospetti – e le indiscrezioni – che circolavano da tempo: ByteDance avrebbe accesso diretto ai dati degli utenti americani (ma anche di quelli europei). “Dalla Cina vedono tutto,” tagliava corto un ex dipendente che per TikTok si occupava proprio di sicurezza. In particolare, un ingegnere di base a Pechino, tale “Master Admin”, avrebbe “accesso a tutto quanto”.

 

Le rivelazioni sono riuscite nell’impossibile, ovvero far convergere la direzione di repubblicani e democratici, almeno quanto basta per arrivare a una proposta bipartisan alla Federal Trade Commission (l’agenzia federale nata per difendere i consumatori e far rispettare le leggi antitrust) di indagare sul social network. Una settimana prima, era stata la senatrice repubblicana Marsha Blackburn a scrivere direttamente al ceo di TikTok, Shou Zi Chew, ponendogli undici domande  cui rispondere entro il 18 luglio. La replica dell’amministratore delegato è arrivata pochi giorni dopo, piena di rassicurazioni e accuse nei confronti di BuzzFeed. La replica però non è stata ritenuta sufficiente. Molti i motivi: innanzitutto le prove fornite dall’inchiesta giornalistica ma anche il valore politico di una battaglia con TikTok nel nome della sicurezza dei dati degli utenti statunitensi. Dai tempi di Trump, il fronte repubblicano è unito contro la proprietà cinese del social network; la novità è semmai il possibile accordo con i democratici.

 

Mentre il Senato americano prova a contenere TikTok, questa settimana il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la nuova legge sui servizi digitali (Dsa) e la legge sui mercati digitali (Dma), che mirano a contrastare la diffusione di contenuti illegali online e aumentare la “trasparenza e responsabilità delle piattaforme”. “Tutto ciò che è illegale offline ora sarà illegale anche on line”: così ha tentato di riassumerle la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sorvolando sulle inevitabili criticità di questa norme. 

 

Le mosse europee trovano eco anche nel Congresso degli Stati Uniti, dov’è appena iniziato l’iter di una legge sulla privacy (anche questa bipartisan), che mira a ridurre la quantità di dati raccolta dalle aziende digitali. Anche in questo caso il percorso è in salita: a sinistra la legge viene accusata di essere troppo timida, mentre a destra si teme possa creare difficoltà al business delle aziende. Negli ultimi giorni, infine, l’Ue ha finalmente deciso di concentrarsi sul settore crypto: la presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio in merito alla proposta di regolamento relativo ai mercati delle cosiddette cripto-attività (MiCA).

 

Il nuovo documento dovrebbe costringere i fornitori di servizi per le cripto-attività al rispetto di “requisiti rigorosi per proteggere i portafogli dei consumatori”. Il MiCA punta soprattutto sugli stablecoin, un tipo particolare di criptovaluta pensato per mantenere un valore stabile, legato di solito al dollaro. Negli ultimi due mesi, molti coin di questo tipo – come Usdd, Dei, Terra e Luna  – hanno perso il “gancio” che avevano con la valuta di riferimento, con perdite enormi per gli utenti. La proposta europea vuole far sì che ogni titolare di stablecoin possa “chiedere un rimborso all’emittente in qualsiasi momento e gratuitamente”.  Pur non essendo richieste eccessive, il MiCA può avere enormi conseguenze per il settore crypto, altro segnale di un estate decisiva per il nostro rapporto con Big Tech.

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