AP Photo/Eric Risberg 

I dubbi sul VR

I segreti del Metaverso. Nessuno sa niente del prossimo, mastodontico progetto di Zuckerberg

Eugenio Cau

Dovrebbe cambiare la nostra vita ma per adesso non è niente di più di una partita di poker virtuale e immersiva. Però costa dieci miliardi di dollari

Il video con cui la settimana scorsa il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, ha rivelato che la sua società cambierà nome in Meta e annunciato ambiziosi progetti per la costruzione del metaverso ha tutta una serie di pregi. È molto ben prodotto e mostra gli sforzi sovrumani di Zuckerberg, che ha presentato tutto l’evento, nel cercare di apparire una persona affabile e non robotica, com’è sempre in tutte le sue apparizioni pubbliche. Contiene anche una certa autoironia, come quando, nel corso delle varie presentazioni di mondi digitali simili a videogiochi, Zuckerberg parla a un robot e dice: “Ma il robot dovevo essere io!” (anche qui, accenni alla personalità legnosa del fondatore). Soprattutto, il video rappresenta la prima volta in cui il capo della società che più di ogni altra al mondo ha investito e lavorato nella costruzione del metaverso spiega finalmente cosa sarà, questo metaverso. È una gran noia.

 

Un po’ di storia, per chi non ne avesse sentito parlare: la parola “metaverso” fu inventata nel 1992 dallo scrittore americano Neal Stephenson, che nel suo libro “Snow Crash” la usa per identificare un mondo virtuale in cui i suoi protagonisti si ritrovano per sfuggire alla realtà catastrofica del mondo reale. Concetti simili al metaverso di Stephenson sono stati adottati anche da altri autori fantascientifici (si pensi a “Ready Player One” di Ernest Cline, da cui Steven Spielberg ha tratto un film), e più o meno da sempre il metaverso è un pallino di tanti imprenditori ed esperti di tecnologia. Gli imprenditori come Zuckerberg che vogliono costruire il metaverso parlano di un mondo virtuale – o di una serie di mondi connessi tra loro – a cui si dovrà accedere tramite dispositivi per la realtà virtuale, e in cui le persone potranno incontrarsi, lavorare e fare varie attività. Come nel mondo reale, ma meglio.

 

Se ne parla da decenni, ma qualche tempo la discussione è diventata più eccitata, e si è cominciato a dire che il metaverso sarà la nuova “big thing”, la nuova rivoluzione della tecnologia mondiale, capace infine di sostituire internet sia come strumento di comunicazione e svago sia come produttore di eccezionali profitti per le aziende che vi operano. Da ormai oltre un anno vari personaggi centrali del mondo tecnologico parlano in maniera sempre più esaltata e piena di aspettative del metaverso, e della montagna di soldi che sperano di farci investendoci sopra: da Mark Zuckerberg a Tim Sweeney, il capo dell’azienda che produce il videogioco Fortnite, ai dirigenti di Google e Microsoft. L’investitore tecnologico Matthew Ball, che l’anno scorso ha pubblicato un paio di lunghi articoli considerati i migliori sul tema, ha scritto che quando tutto sarà pronto il metaverso frutterà migliaia di miliardi di dollari.

Ma quando Ball tenta di spiegare cos’è per davvero, questo metaverso che genererà ricchezze indescrivibili e rivoluzionerà il mondo, le cose si fanno confuse. Ball elenca alcune caratteristiche basilari e dice, per esempio, che il metaverso dovrà essere “persistente”, cioè dovrà rimanere online anche quando l’utente si disconnette e torna nel mondo reale; dovrà essere “in sincrono e dal vivo”, che significa che tutte le persone che vi partecipano dovranno fare esperienza delle stesse cose allo stesso tempo, e non dovrà mettere limiti al numero di persone che vi possono partecipare. Il problema, dice Ball, è che il metaverso è difficile da descrivere e anche da immaginare: non lo si può paragonare a nessuna delle tecnologie attualmente esistenti, e anche sulla terminologia Ball è piuttosto puntiglioso. Consiglia di non definirlo come un “mondo virtuale”, uno “spazio virtuale” o una “realtà virtuale” (benché l’unico modo per esperire il metaverso sia tramite dispositivi per la realtà virtuale, come occhiali e caschetti), perché il metaverso è qualcosa di più ampio e complesso – cosa, esattamente, è difficile dirlo. Questo perché il metaverso ancora non esiste. È un’idea concepita da alcuni scrittori di fantascienza e accarezzata da decenni da imprenditori tecnologici molto entusiasti che da qualche tempo hanno cominciato a parlarne come di una rivoluzione imminente. La rivoluzione, tuttavia, è ancora lontana dal realizzarsi, anche perché, come abbiamo visto, nessuno sa descriverla in maniera concreta. Poi è arrivato Mark Zuckerberg, che per primo, la settimana scorsa, ha presentato un progetto abbastanza concreto, e mostrato cosa dovrebbe essere il metaverso per lui.

Eliminiamo subito alcuni fraintendimenti: Zuckerberg non ha annunciato il cambio di nome della sua società e i suoi progetti per il metaverso per distogliere l’attenzione dai recenti scandali di Facebook dopo la pubblicazione dei cosiddetti “Facebook Papers”. Facebook ha acquisito Oculus, azienda che produce dispositivi per la realtà virtuale, nel 2014, e da allora Zuckerberg ha continuato a investire costantemente nel settore. I progetti sul metaverso non sembrano nemmeno un bluff, a giudicare almeno dai dati ufficiali: come ha scritto il New York Times, Facebook intende spendere soltanto quest’anno 10 miliardi di dollari in investimenti relativi al metaverso, e 10 mila suoi dipendenti stanno già lavorando a progetti legati alla realtà virtuale. È probabile, dunque, che Zuckerberg sia davvero convinto che il metaverso sarà la prossima grande rivoluzione tecnologica e che sostituirà internet, e che si stia muovendo con forza per essere tra i primi a controllare questa nuova tecnologia e godere delle sue presunte ed enormi possibilità di guadagno.

La ricerca della prossima tecnologia rivoluzionaria, della “next big thing”, è un tema frequente nell’industria tecnologica, specie quella americana. I grossi imprenditori e investitori americani entrano periodicamente in fibrillazione per ogni nuova tecnologia che promette di cambiare il mondo e aprire mercati nuovi e sterminati: se ne parla per qualche tempo come di una grande rivoluzione, si fanno ambiziosi progetti, si fondano nuove società e poi dopo un po’ si passa alla novità successiva. Soltanto negli ultimi tre-quattro anni, quest’enorme eccitazione del mondo tecnologico americano ha riguardato, a ondate successive, l’intelligenza artificiale, il 5G, le criptovalute, il cloud computing e altro ancora. Queste tecnologie hanno un enorme valore, hanno cambiato e cambieranno interi settori industriali, ma sono ben lontane dall’essere la rivoluzione planetaria descritta dai tecnocrati sovreccitati nei loro momenti di maggiore entusiasmo. Ora l’eccitazione è tutta concentrata sul metaverso, ed è tale che una delle aziende più ricche e potenti del mondo, Facebook, ha deciso di cambiare nome in suo onore, e diventare Meta. Zuckerberg e i suoi colleghi sono convinti che il metaverso sostituirà l’internet, e che quindi il suo impatto sarà enorme e globale: non soltanto cambierà l’industria tecnologica, ma influenzerà radicalmente gli stili di vita di miliardi di persone in tutto il mondo. Secondo Zuckerberg, presto tutto il mondo trascorrerà gran parte delle sue giornate con un caschetto per la realtà virtuale in testa, dentro a una realtà digitale costruita per noi.

Eppure l’eccitazione dei tecnocrati nei confronti del metaverso, sotto molti punti di vista, è meno giustificata di quelle per altre tecnologie. Per avere successo, una tecnologia (ma un qualsiasi prodotto) deve soddisfare due requisiti minimi: deve funzionare, e quindi essere utilizzabile e fruibile, e deve soddisfare un bisogno reale, o comunque proporre un’esperienza a tal punto nuova o migliore da generare domanda nei consumatori e utenti. Il metaverso, almeno per ora, non soddisfa nessuno dei requisiti. Partiamo dal “funzionare”. Il metaverso attualmente non esiste perché non esistono ancora le tecnologie per costruirlo, o sono estremamente immature. Lo mostra molto bene il video di Facebook in cui Zuckerberg ha presentato la sua idea di metaverso: tutte le dimostrazioni contenute nel video erano effetti speciali cinematografici. Di solito, quando si presenta un nuovo prodotto o progetto se ne mostra il funzionamento, almeno in parte: quando Steve Jobs presentò il primo iPhone, ce l’aveva in mano perché tutti lo potessero vedere. Ma il metaverso è ancora così lontano che per provare a farcelo vedere Zuckerberg ha dovuto recitare davanti a un green screen. Attualmente, è di fatto impossibile costruire mondi digitali con le caratteristiche e il livello di dettaglio immaginati da Zuckerberg. Anche le tecnologie che già esistono sono rudimentali. Per entrare nel metaverso, è necessario utilizzare dispositivi per la realtà virtuale. Ma questi dispositivi, grossi caschetti o occhialoni, sono scomodi, farraginosi e spesso devono rimanere collegati a computer per funzionare. I computer, per altro, devono essere molto più potenti di quelli usati dalla maggior parte delle persone, specie per gestire la grafica dettagliata del metaverso di Zuckerberg. Come ha scritto sull’Atlantic Ethan Zuckerman, un noto esperto di informatica, Zuckerberg promette tecnologie che non saranno disponibili ancora per i prossimi cinque-dieci anni. Non è improbabile che un giorno avremo mezzi sufficienti, e che i dispositivi per la realtà virtuale evolveranno a tal punto da diventare piccoli come un chicco di riso. Ma mancano ancora molti anni.

Il secondo requisito per il successo del metaverso è che risponda a un bisogno degli utenti, o che li attragga a tal punto da diventare una parte importante delle loro vite. È qui che la grande presentazione di Facebook mostra i problemi più gravi, più ancora dell’assenza di tecnologia. La settimana scorsa, Zuckerberg aveva la possibilità di mostrare al mondo l’ampiezza della sua visione, di renderla evidente con dimostrazioni spettacolari che avrebbero reso chiaro perché il metaverso sarà rivoluzionario. Ecco invece una lista non esaustiva delle cose che secondo Facebook si faranno nel metaverso, e che sono state mostrate da Zuckerberg: fare una partita di scacchi online, fare una partita di poker online, fare una videochat con amici, condividere dei videomessaggi, fare una lezione di yoga a distanza, fare una riunione di lavoro a distanza, lavorare su una scrivania digitale che simula la propria, e che anche nella presentazione sembra eccezionalmente poco efficiente. Questa è tutta roba che si fa già da anni, in alcuni casi da decenni. E certo, con un grosso casco per la realtà virtuale sulla testa tutte queste attività saranno immersive, realistiche e piene di vita, se e quando avremo la tecnologia per renderle tali. Ma davvero il mondo dovrebbe essere esaltato dall’idea di fare una partita di poker online molto immersiva? Ancora Ethan Zuckerman ha scritto sull’Atlantic che il gran problema del metaverso proposto da Facebook è che “è noioso. Il futuro che immagina è già stato immaginato migliaia di volte prima, e di solito in maniera migliore”. Wes Fenlon, un giornalista che si occupa di tecnologia, è stato un po’ più brusco e ha scritto che “il metaverso è una stronzata perché nessuno sa davvero spiegare perché sarebbe meglio” della vita reale.

Molti altri critici del metaverso si sono concentrati su questioni ulteriori. Per esempio, alcuni si sono chiesti chi lo controllerà, una volta che sarà costruito. Ma questi sono questioni a cui pensare più avanti. Il problema, adesso, è che non siamo sicuri che il metaverso sia tecnicamente fattibile, e soprattutto non siamo sicuri che serva a qualcosa. C’è un altro elemento non tecnologico che i critici citano di frequente: nei racconti di fantascienza che Zuckerberg e gli altri hanno usato come ispirazione, il metaverso è sempre inserito in orribili distopie. In “Snow Crash” di Stephenson, il libro che ha introdotto il termine, la società e l’ordine mondiali sono crollati, l’economia è in mano a gruppi mafiosi o a losche corporation, e lo “snow crash” è il nome di una droga. In “Ready Player One”, le persone entrano nel metaverso (che nel libro si chiama Oasis) per sfuggire a un mondo in cui la maggior parte della popolazione vive in baraccopoli degradate. Sui libri di fantascienza, il mondo virtuale diventa apprezzato e accettabile soltanto quando il mondo reale è diventato insostenibile.

Di più su questi argomenti:
  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.