Il nuovo ceo di Uber, Dara Khosrowshahi, ha inaugurato una politica di cospargimento di cenere sul capo, umiltà e mitezza che sta facendo recuperare terreno all’azienda (foto YouTube)

Batosta dopo batosta, forse i grandi della tecnologia hanno perso la loro hybris

Eugenio Cau

Tra techlash e nuove strategie di espansione potrebbe essere il tempo per le aziende tech di sperimentare un approccio più gentile

Roma. Ricordate l’epoca della disruption? Il tempo è volato, sembrano passati anni, eppure erano soltanto pochi mesi fa. In quell’epoca Uber entrava in una città senza chiedere il permesso, riempiva le strade con le sue auto e i suoi driver agguerritissimi, e quando le amministrazioni comunali si trovavano i tassisti inferociti a bloccare le piazze ormai era troppo tardi, e Uber diceva: prova a cacciarmi, se ci riesci. Uguale con Airbnb, che nemmeno aveva bisogno di automobili in strada: da un giorno all’altro la gente scopriva che gli affitti erano aumentati, e che tutte le case del condominio erano state riempite di turisti (e non solo) grazie al bellissimo sito americano. Non parliamo di Facebook, che aveva questo motto molto popolare tra i suoi dipendenti: “Muoviti veloce e spacca tutto”. I fan definivano questo atteggiamento ferino come un’esuberanza magari sgradevole, ma necessaria al progresso. I critici parlavano di ubris, di tracotanza che presto o tardi sarebbe stata punita dagli dèi.

    

Travis Kalanick, il ceo di Uber che più di ogni altro ha predicato la dottrina dell’espansione aggressiva, alla fine ha provocato la cacciata di Uber da infinite città, che ci hanno messo anni ma alla fine hanno fatto approvare legislazioni e regolamenti contro i driver. Il movimento #metoo ha fatto il resto, e nel caso di Uber le polemiche che hanno provocato la cacciata di Kalanick sono lo specchio non di un’esagerazione femminista ma di una cultura societaria tossica. Il nuovo ceo Dara Khosrowshahi ha inaugurato una politica di cospargimento di cenere sul capo, umiltà e mitezza che sta facendo recuperare terreno all’azienda. Anche Airbnb, cacciato dal Giappone e bastonato da parigini e newyorchesi, sta ripensando le sue pratiche. Con Facebook non sappiamo nemmeno da dove cominciare: Mark Zuckerberg aveva creato un sistemino per fare la classifica delle ragazze più carine del campus e si è trovato con in mano un mostro che potrebbe essere un pericolo per la democrazia e ha avuto un ruolo fondamentale nell’assassinio di decine di persone – non è uno scherzo, succede in Asia come ha raccontato anche il Foglio. Venerdì sul New York Times si commentavano le ultime débâcle del social network dicendo che ormai Facebook si muove lentamente e, dopo aver spaccato tutto per davvero, non è più capace di riparare nulla. Gli esempi potrebbero continuare.

    

Non è soltanto una questione di techlash, quel fenomeno in base al quale milioni di utenti si sono disaffezionati alla tecnologia scoprendo i danni che può provocare. E’ che l’epoca della disruption, dell’espansione rapace e della hubris ormai è arrivata alla fine, la dottrina dell’aggressività fine a se stessa non solo non ha portato i frutti sperati, ma è stata velenosa per le aziende che l’hanno applicata. Il Wall Street Journal raccontava dell’esperienza di Bird, una startup simile a Uber ma che traffica in monopattini elettrici anziché in vetture con autista. I monopattini di Bird sono popolarissimi negli Stati Uniti, tutti li adorano, ma l’azienda, dopo qualche passo falso, ha deciso di usare un approccio diverso da quello di Uber: anziché riempire i marciapiedi di veicoli a due ruote ha cominciato a collaborare con le amministrazioni delle città, mostrato un volto gentile, parlato di partnership e responsabilità. Ha funzionato. Anche Apple, che di tutti i giganti della tecnologia è sempre stato il più furbo, ci va piano col rompere cose: da anni vorrebbe buttarsi nel campo dei device per la salute con il suo Apple Watch, ma aspetta paziente che le autorità federali siano pronte a concedere licenze. E se arrivasse davvero una tecnologia dal volto più gentile?

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.