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L'eterogenesi della disruption

Eugenio Cau

Pochi anni fa tutti pensavano che Airbnb avrebbe distrutto il mercato degli hotel. Non è successo. Ma ciò non significa che l’ascesa della startup non abbia avuto effetti: ci sono stati, soltanto non quelli previsti

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L'eterogenesi della disruption

   

Questa settimana l’articolo più importante sulla tecnologia e l’innovazione l’ha scritto Derek Thompson sull’Atlantic e parla di Airbnb e della disruption. Il tema è inflazionato, ma Thompson, che è uno bravissimo, è riuscito a trovare una chiave che nessuno aveva colto in precedenza: guardando ad Airbnb si scopre che la disruption, e più in generale l’innovazione tutta, spesso funziona secondo il principio dell’eterogenesi dei fini.

  
Ricordate quando Airbnb era una relativa novità, diciamo cinque-sei anni fa? Tutti dicevano: questa startup ha avuto un’idea geniale e distruggerà il mercato degli hotel. Anche gli hotel erano preoccupatissimi, e temevano che Airbnb avrebbe rubato loro una larga fetta della clientela. Oggi sappiamo che queste preoccupazioni sono infondate. Le catene di hotel in tutto il mondo non hanno subìto cali significativi di clienti, anzi spesso hanno fatto migliori affari di prima. La ragione è semplice: mentre gli hotel servono principalmente un’utenza business o turismo di alto livello, i clienti di Airbnb sono viaggiatori millennial (circa la metà del totale) che vogliono visitare un luogo vivendo come i locali: nel centro città, vicino ai ristoranti e ai bar e lontano dalle aree business o di transito dove c'è la maggior parte degli alberghi. Insomma, la disruption annunciata non si è verificata

  
Questo non vuol dire che l’ascesa di Airbnb non abbia avuto effetti: ci sono stati, soltanto non quelli previsti. Airbnb non si è trovata a competere con gli hotel per i posti letto dei viaggiatori business, ma con i residenti dei centri città per le case in affitto. E’ un fatto noto: secondo molti studi, Airbnb è responsabile dell’aumento degli affitti nelle grandi città, in base a una formula semplice: tutte le volte che un appartamento a Manhattan viene affittato a breve termine su Airbnb, l’offerta per gli affitti a lungo termine si restringe e i prezzi naturalmente si alzano. E’ un effetto altamente disruptive. Airbnb doveva mettere in difficoltà gli hotel e invece lo sta facendo con gli inquilini degli appartamenti del centro di Parigi.

    

Soprattutto, è un effetto inatteso: l’azienda, gli analisti e le catene alberghiere non si aspettavano uno sviluppo del genere, né Airbnb ha fatto nulla per favorirlo. Airbnb ha giocato una partita secondo il manuale classico della disruption, voleva creare un prodotto che ammazzasse gli alberghi e si è trovata in mano una cosa completamente diversa.

   

E' successo anche ad altri. Facebook doveva essere una piattaforma di connessione tra amici e parenti ed è diventato il più grande editore del mondo e uno strumento di destabilizzazione democratica, tra le altre cose. Non è stato intenzionale, è il principio dell’eterogenesi dei fini nell’innovazione.


    

VALLEY E ALTRE VALLEY

   

   

Cosa è successo questa settimana

   

  • Il procuratore straordinario americano Mueller ha pubblicato i primi risultati della sua inchiesta sulle intromissioni russe nelle elezioni americane del 2016, e incredibilmente Facebook ne esce peggio dell'Amministrazione Trump.
  • In risposta Rob Goldman, vicepresidente di Facebook per la sezione ads, ha provato a difendersi (su Twitter!) dall'idea che il social network abbia delle responsabilità di omesso controllo. I suoi tweet sono stati immediatamente condivisi da Donald Trump e hanno creato un bel po' di scandalo.

     
  • In realtà le cose non stanno esattamente come dice Goldman, e qui c'è un fact checking. Il riassunto migliore della storia l'ha fatto Kevin Roose sul New York Times: "Una parte di Facebook crede ancora di essere come una banca che è stata rapinata, quando in realtà Facebook è l'architetto che ha progettato una banca senza casseforti, senza allarmi e senza serrature alle porte, e poi si stupisce se arrivano i ladri".
  • A proposito di fake news e propaganda online: alcuni ricercatori di Cambridge hanno fatto un gioco online per diventare il tycoon di un impero mediatico basato sulle fake news.
  • Ultima questione di politica americana. Dopo la sparatoria al liceo in Florida, alcuni studenti sopravvissuti – tra loro il diciassettenne David Hogg – hanno iniziato a protestare in favore del gun control. Ecco l'eccellente risposta di internet:
  

    

 
    
    

VIDEO BONUS

Sapete che abbiamo un debole per questo Youtuber che vive a Shenzhen, in Cina, e sfrutta il fatto di trovarsi nella fabbrica del mondo per portare a termine stupendi progetti tech. Abbiamo già rilanciato un suo video qualche mese fa. L'ultima volta aveva inserito il jack delle cuffie in un iPhone che non l'ha. In questo video si costruisce un iPhone personalizzato. Niente di pazzesco, ma il contesto mostra bene che razza di posto è la Cina quando si parla di disponibilità della tecnologia.  

 

     


   

LONG READ, METTETEVI COMODI

  

La settimana scorsa avevamo una copertina con Facebook (Mark Zuckerberg malmenato); questa settimana sulla copertina del magazine del New York Times c'è Google, un gigante che deve essere domato.

  

Siamo vicini ad avere l'auto che si guida da sola, ma i fogli di carta continuano a incepparsi nelle stampanti. Un pezzone stupendo di ingegneria, design e futuro sul New Yorker.

 

Per anni Michael Harris ha pensato che essere nato prima dell'èra di internet lo avesse reso immune dai cambiamenti antropologici portati dalla tecnologia. Poi un giorno si è accorto che si era dimenticato come si legge.

 

Un biohacker (vale a dire: gente che vuole potenziare il proprio corpo e le proprie facoltà mentali intervenendo con impianti, iniezioni e pillole) si è iniettato dei geni modificati con Crispr in diretta streaming. Ora se n'è pentito.

 

Perché parlare di "smart city" è una stupidaggine.

 

Wired racconta (conosciamo il tema, ma il racconto di Wired è bello) come la Cina è passata da essere una superpotenza dell'imitazione a essere una superpotenza dell'innovazione.

 

La Hong Kong Free Press, invece, lancia una brutta accusa alla politica di Apple in Cina: acconsentendo a ogni richiesta del regime comunista sta aprendo la strada a una "cloud dictatorship".

 

Niente da fare: possiamo avere il GPS, possiamo avere le auto che si guidano da sole, possiamo avere la bussola sulla smartphone, ma continueremo a perdere l'orientamento.


   

APP DELLA SETTIMANA

  

Nessuna app che vi cambia la vita, solo un giochino molto carino con cui far passare qualche minuto di noia – sponsorizzato da Vlad Savov di The Verge. E' il passatempo perfetto: ha una struttura simile a Tetris ma più semplice, una grafica molto ben fatta, è complesso abbastanza da essere divertente ma semplice abbastanza da non stancare. Se siete arrivati alla fine di questa newsletter e avete ancora venti minuti di autobus davanti, provatelo. Si chiama Slidey. Per iPhone e per Android.


 

Silicio esce tutte le settimane ed è curata da Eugenio Cau.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.