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Rivoluzionata l'auto, ora tocca ai barbieri. Innovazione e altri disastri

Michele Masneri

Milano sperimenta il coworking come in Silicon Valley

Roma. Dimentichiamoci l’auto senza conducente e le intelligenze artificiali. La disruption siliconvallica arriva per prima nel salone del barbiere. E’ notizia di questi giorni che il comune di Milano sta sperimentando di trasformare i coiffeur in spazi di coworking: il proprietario potrà cioè affittare diversi spazi di lavoro ad altrettanti tagliatori padroncini. Il comune ha appena annunciato l’iniziativa “Una poltrona per due”, precisando che “il provvedimento permetterà ai piccoli artigiani di continuare a porsi in maniera competitiva sul mercato sperimentando una nuova forma di coworking vantaggiosa sia per il titolare, che ottiene una diminuzione dei costi fissi, sia per l’affidatario che opera all’interno di un’attività già strutturata e avviata”.

   

Il capello diventa così l’ultima frontiera del neoliberismo siliconvallico; a San Francisco infatti la vetusta struttura proprietaria dei saloni di bellezza non esiste più da tempo, così come l’antico taxi a tassametro; vi si è sostituito un modello appunto condiviso ove un gestore di salone subaffitta a parrucchieri e sciampisti, che gli corrisponderanno un fisso o percentuale.

   

Così, non sorprende trovare su usci e botteghe la scritta “available chair”, poltrona disponibile, che all’inizio non si comprendeva. I risultati sono per ora contrastanti; non si conoscono ricadute positive su pil e indotti. Di certo tagliarsi i capelli in Silicon Valley è diventata un’impresa sempre più ardua. Si prenota solo via app, poiché solo alcuni tollerano il “walk in”, cioè il presentarsi di persona. Una volta lì, si noterà subito la tensione: siccome i poltronisti tagliatori e sciampisti sono a quel punto in diretta concorrenza col loro vicino, il liberismo selvaggio del pettine si vedrà plasticamente in quegli sguardi un po’ pietosi tipo cane al canile (sceglimi! sceglimi!) e un po’ rabbiosi (sceglimi cazzo! devo pagare l’alta pigione della seggiolina). I prezzi all’interno dei saloni per signora sono variabili, due tagliatori anche in apparenza molto simili, uno accanto all’altro, avranno tariffe diversissime a seconda dei diplomi e dei background e delle autostime.

   

In generale, poi, nonostante la rottura del monopolio, i prezzi del servizio non sembrano scendere: anche oltre i duecento dollari; da cui le chiome sfibrate e artigianali di molte startupper femmine e capitane d’azienda anche molto danarose e note; ci si va infatti una volta l’anno, o per qualche matrimonio o laurea o quotazione in Borsa. Cessa l’abitudine alla piega.

   

Vita vissuta: nel quartiere affluente-riflessivo di Noe Valley, in un parrucchiere “Mio mio”, si accompagnò un’amica e una volta scelto il tagliatore-startupparo residuale, quello cioè non scelto da nessuno tramite prenotazione elettronica (c’è sempre, è il più nervoso, non si sa se è nervoso perché non viene mai scelto o se viceversa non viene scelto perché di umore nero); la sventurata venne spedita al lavaggio, con getto d’acqua violento tipo auto, poi le applicarono una tintura con pantone inaccurato, e alle sue rimostranze, il parrucchiere probabilmente sfinito dal logorio della concorrenza perfetta, urlò: “Questa signora mi sta rendendo molto nervoso!”, e lei con costernazione pagò i 250 dollari di conto, nonostante fosse improvvisamente diventata mora.

   

Per i maschi va un po’ meglio: da Barber Joe, classico salone su Market Street, ci sono una ventina di postazioni, ognuno ha i suoi cinque-sei rasoi elettrici appesi alle pareti come trofei di caccia (ci sono solo rasoi: se si vuole un taglio con le forbici, ormai vintage come un vinile, c’è un sovrapprezzo di cinque dollari). All’ingresso c’è un iPad con app saltacoda per chi non si fosse registrato online. Ci si può affidare all’algoritmo che sceglierà il primo barbiere disponibile (dunque ti manderà ancora da quello residuale, che non vuole nessuno, dunque ulteriormente nervoso) oppure si può puntare su uno specifico, che richiederà più tempo. Anche lì, lo sbrocco è frequente, lo si è sperimentato, una volta si era impostata la app sul “random”, ma poi manca solo un numeretto per poter andare dal proprio preferito. Un gentile cliente ci dice prego, vada pure, toccherebbe a me ma le lascio il posto; noi si ringrazia ma a quel punto il poltronista residuale (c’è anche qui) protesta, alzando anche la voce: avevamo scelto l’algoritmo, e l’algoritmo aveva scelto lui. Interviene il capo-salone, che come nelle nuove drogherie Amazon senza droghiere o nel supervisore nell’auto senza conducente tiene d’occhio comunque la situazione. Il poltronista residuale verrà degradato, il suo rating abbassato, la sua esistenza on e offline deteriorata.

  

I barbieri da coworking, che fanno un unico genere di taglio alla Kim Jong-un, rasato ai lati e con ananasso sopra, espongono insieme ai rasoi i diplomi di rasatori/estetisti ottenuti in qualche accademia misteriosa o online. Più tante prese di corrente per alimentare gli iPhone dei rasaturi. Il rasatore da coworking, per donna e per uomo, sempre per ammortizzare al massimo il costo della sua seggiolina, tenterà di fidelizzarti, tu potrai dare la mancia premendo l’apposito tasto sulla sua app collegata all’iPhone, e nel caso iscriverti alla sua mailing list. Lì sarai perduto, perché il rasatore da coworking non solo vorrà dei rating e dei like, ma ti perseguiterà per sempre con i suoi sconti, gli auguri di San Valentino e Hannukah e Natale, e consigli non richiesti di bellezza. Terrà a informarti anche quando cambierà location per provare una nuova avventura pilifera con una nuova poltrona, in un’altra città, in un altro Stato. Quando non avrai più le sue mail, ti sentirai sollevato: ma comincerai a preoccuparti per lui.

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