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Il gran dilemma di Facebook

Eugenio Cau

Zuckerberg ha dimostrato di essere pronto a ridurre i profitti in nome della salvaguardia dei suoi utenti. Ma dopo la brutta trimestrale è ora di fare una scelta di campo 

Roma. Lo stato di transizione che Facebook si trova ad affrontare, un dilemma insito nella stessa natura del social network, è ben esemplificato da due eventi di questi ultimi giorni. Il primo riguarda la cattiva trimestrale presentata dall’azienda agli azionisti, in cui utili e iscrizioni al social network sono in calo a causa delle misure prese da Mark Zuckerberg per rassicurare utenti e legislatori sulla sicurezza e la riservatezza di Facebook all’indomani degli scandali delle fake news e di Cambridge Analytica: oggi, all’apertura della Borsa di New York, il titolo è crollato del 18 per cento, cancellando nel giro di pochi minuti 110 miliardi di dollari dalla capitalizzazione dell’azienda. Ora, intendiamoci su cosa significa “cattiva trimestrale” per Facebook: non si pensi che i numeri dell’azienda abbiano il segno meno, il social network è cresciuto ugualmente a ritmi pazzi, ma non ha raggiunto le aspettative dei mercati. Le entrate sono aumentate del 42 per cento e i profitti del 31 per cento su base annuale, cifre che farebbero saltare di gioia qualsiasi ceo di un’azienda normale. Ma gli analisti si aspettavano entrate per 13,4 miliardi di dollari, mentre Facebook ne ha fatti soltanto 13,2. Gli utenti attivi sono aumentati dell’11 per cento, dato per cui Jack Dorsey di Twitter darebbe un rene, ma gli analisti si aspettavano cifre più simili al 13 per cento di crescita degli scorsi trimestri. Insomma, Facebook non è in crisi, semplicemente cresce a un ritmo leggermente meno pazzesco del solito, a causa degli investimenti ingenti fatti per la sicurezza e la privacy e delle regolamentazioni internazionali più stringenti, come il Gdpr europeo. Questi dati possono giustificare una lieve delusione dei mercati, non il tracollo epocale che ha fatto seguito alla pubblicazione della trimestrale. Un tale disastro è un esempio eccellente del dilemma davanti a cui si trovano Zuckerberg e i suoi: da un lato utenti e legislatori chiedono un social network più sicuro, in cui la privacy ha davvero valore e in cui i troll russi non possono mettere a repentaglio le fondamenta della democrazia. Per rispondere a queste richieste, Facebook è costretto a ridurre o chiudere alcune fonti di guadagno. Ma non appena questo avviene i mercati entrano in una grave paranoia, il titolo crolla, centinaia di miliardi di dollari sono bruciati.

  

Zuckerberg, forse, aveva sperato che il suo sforzo sarebbe stato bene accolto dai media, che da mesi frustano Facebook sui temi della privacy e della sicurezza: ecco, Facebook ha dimostrato di essere pronto a ridurre i profitti in nome della salvaguardia dei suoi utenti, non siete contenti? Non pare. Oggi, i giornali internazionali che con il dito alzato hanno trascorso gli ultimi mesi a dire a Facebook di fare esattamente quello che ha fatto criticavano Zuckerberg per non aver dato profitti sufficienti alla compagnia. Doppia ipocrisia.

  

Il secondo esempio del gran dilemma di Facebook riguarda una lettera aperta di Alex Stamos, capo della sicurezza di Facebook, in uscita dall’azienda. La lettera risale allo scorso marzo, pochi giorni dopo che un articolo del New York Times aveva rivelato che Stamos era pronto a lasciare Facebook in polemica con i suoi vertici, che spingevano per il profitto a tutti i costi contro le esigenze di sicurezza e garanzie dell’utente. Stamos ha sempre contestato la ricostruzione del Times. Nella lettera, che avrebbe dovuto circolare internamente ma è stata pubblicata da Buzzfeed questa settimana, Stamos critica duramente i media che hanno distorto il suo punto di vista, ma poi parte con una tirata importante sui passi che Facebook deve ancora fare per migliorarsi: “Dobbiamo costruire un’esperienza per l’utente che veicoli onestà e rispetto, non una ottimizzata per fare in modo che le persone clicchino sì e ci diano più dati possibile. Dobbiamo non raccogliere dati intenzionalmente dove è possibile, e tenerli soltanto finché li usiamo per dare un servizio alle persone. […] Dobbiamo ascoltare le persone (anche gli interni) quando ci dicono che una nuova funzione è inquietante o ci dicono che sta avendo sul mondo un impatto negativo. Dobbiamo ridurre la priorità della crescita e dei profitti a breve termine e spiegare a Wall street perché è ok. Dobbiamo essere pronti a fare scelte di campo quando ci sono questioni morali o umanitarie chiare. Dobbiamo essere aperti, onesti e trasparenti sulle sfide che abbiamo davanti e su cosa dobbiamo fare per risolverle”. Sembra che alcune invocazioni di Stamos, specie quelle legate al profitto, siano state accolte da Mark Zuckerberg. Gli analisti, però, si sono concentrati soprattutto sulla parte in cui Stamos esorta Facebook a “fare scelte di campo” sulle questioni morali: proprio in questi giorni, Zuckerberg ha espresso massima ambiguità sul tema quando ha fatto equivalenze pericolose riguardo al diritto dei negazionisti dell’Olocausto di propagandare il loro credo. Ed ecco che torna il dilemma: fino a che punto fare scelte di campo dolorose quando c’è di mezzo il profitto. Stamos cita questioni “umanitarie”, e per esempio non c’è dubbio che il governo comunista cinese sia un violatore seriale dei diritti umani. Eppure, nei giorni in cui la lettera di Stamos si diffondeva, ha cominciato a circolare la notizia che Facebook ha cercato (fallendo) di aprire un nuovo ufficio proprio in Cina.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.