(foto Ap)

un campione al tramonto?

Con la sconfitta in Australia Nadal si avvia verso la pensione

Luca Roberto

Il maiorchino cede al secondo turno dello slam, da campione in carica. "Mi piace giocare a tennis, ma non so cosa possa succedere un futuro" dice adesso che si è infortunato di nuovo. E l'addio gli sembra sempre più vicino

Ha detto di non essersi ritirato, Rafa Nadal, perché da campione in carica non usa, pare brutto. Si deve con ogni residuo di forza cercare di portare la lotta più avanti che si può, anche se la lotta, come dice a un certo punto Zeno nella Coscienza, “produce sempre del rancore”. Siamo piuttosto sicuri non sia il sentimento predominante provato in questo momento dal tennista maiorchino. Piuttosto, gli albergherà dentro qualcosa di simile allo scoramento. Perché ogni sua singola partita, in questa fase della carriera, assomiglia al tentativo instancabile di mantenersi in vita. Agonisticamente.

Oggi a Melbourne Nadal ha perso contro l’americano Mackenzie McDonald, numero 65 al mondo, al secondo turno degli Australian Open, il torneo che lo scorso anno gli aveva consegnato il 21esimo titolo dello slam. Dopo di che sarebbe arrivato anche Parigi, il 22esimo, a casa sua, con un piede solo. Appuntamento dal quale si congedò non sapendo se sarebbe stato l’ultimo atto. In realtà lo si rivide due settimane dopo a Wimbledon, dove però si ritrovò immerso in una delle partite più drammatiche della sua storia, lacerandosi gli addominali dopo aver rifiutato il ritiro consigliatogli dal padre. E compromettendo così non solo il Grande slam ma tutto il finale della scorsa stagione.

Si sapeva che in Australia sarebbe stato molto più complicato di 12 mesi fa, a maggior ragione dopo che Djokovic questa volta è riuscito a varcare la dogana di Canberra e si avvia a raggiungerlo nel computo dei major. Ma in pochi avrebbero scommesso sull’aggiornamento preciso della lista degli infortuni: dopo il gomito, gli scafoidi, le ginocchia, i piedi, è stato il turno dell’anca. A un certo punto del secondo e terzo set, smesse logica e tattica, Nadal ha preso ad avvicinarsi alla rete sia al servizio che in risposta, ad anticipare i colpi. Faceva quasi tenerezza nel non riuscire più ad arpionare la palla con il suo mancino velenoso, marchio di fabbrica scotto e depotenziato e reso ingodibile dalla condizione fisica friabile come un grissino. A novembre lo hanno immortalato mano nella mano sulla panchina con Federer ad accompagnare l’uscita dal tennis dello svizzero. Una rivalità flessa negli anni di circuito in mite rapporto di fratellanza.

Mi piace quello che faccio. Mi piace giocare a tennis. So che non durerà per sempre. Gli ultimi sette mesi sono stati, ancora una volta, un altro periodo difficile. Non so cosa possa succedere in futuro”, ha detto lasciando presagire il peggio per coloro i quali, come chi scrive, lo hanno visto a 16 anni al Challenger di Barletta, mentre scherzava con il telefonino in mano prima di una finale con tale Albert Portas che gli avrebbe fatto guadagnare poco più di qualche centinaio di euro in contanti. Sono passati vent’anni, la pensione non è mai stata così vicina.

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