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La forza del pensiero fragile
Mettere i calciatori nelle condizioni di tornare a giocare non è, come qualcuno sostiene, trattarli da privilegiati ma esattamente il contrario
Se fossimo filosofi, sapremmo bene dove vanno a perdersi tutti i pensieri fragili. E ce ne sono tanti in questa ormai insopportabile quarantena. Eppure, ad ascoltare in giro, sembra di assistere a una gara muscolare del pensiero forte, altro che fragile! Tutti attaccano tutti e nessuno costruisce niente. Siamo di fronte a un pieno di opinioni che ci restituisce un disarmante senso di vuoto. Nel dibattito sul calcio e il conseguente campionato, a qualcuno sfugge la logica del suo ipotetico ritorno, e il risultato di certi demenziali sondaggi (ma i sondaggi sono, per natura, piuttosto demenziali), conferma che la gente sta fraintendendo la questione.
Mettere i calciatori nelle condizioni di tornare a giocare non è, come qualcuno sostiene, trattarli da privilegiati ma esattamente il contrario. Se il campionato ripartirà, ipotesi che si sta allontanando ogni giorno di più, i primi a rischiare qualcosa sono proprio i calciatori. Sembra diventata una disputa radical cheap, se ci passate il termine, come se il calcio non fosse anche parte sostanziosa della nostra cultura oltre che una potente industria. Se il virus avanza ancora in questa cosiddetta fase 2 è giusto fermarsi, altrimenti è doveroso trovare soluzioni intelligenti per andare avanti. Se si può tornare a correre al parco, rispettando le regole, non si capisce come mai non sia permesso ad atleti super controllati di allenarsi in strutture che garantiscano loro sacrosante misure di sicurezza. Sedute contingentate, in spazi aperti, con la possibilità di rientrare gradualmente in una accettabile forma fisica. Oppure, a questi atleti bloccati da due mesi di quarantena, si racconti che la loro carriera potrebbe anche finire qui, visto che del domani, senza vaccino, non c’è certezza, per citare il Magnifico.
Quanto ai prossimi mesi, comprendiamo la preoccupazione di chi teme un ritorno del contagio anche nel mondo del calcio, costringendo l’intero sistema a un ripensamento totale dei programmi. Ma la stessa cosa vale per qualsiasi posto di lavoro. Se si infetta il collega di un ufficio, di una fabbrica, si chiude, si fa un’indagine, si sanifica e forse si riapre. O decidiamo di restare fermi rischiando di impazzire oppure dobbiamo avere la forza e il coraggio di muoverci, di fare un passo oltre. La questione del rispetto delle regole è essenziale. Purtroppo questa dipende dall’individuo. Non dovrebbe esserci bisogno di ridicoli bollini blu nelle metropolitane per distanziarsi dagli altri eppure ci sono, perché evidentemente la gente va indirizzata e non semplicemente richiamata a una forma di autocontrollo. Se fossimo filosofi sapremmo bene dove vanno perdersi tutti i pensieri fragili. Ma visto che non lo siamo, troviamo questi pensieri in fretta perché, magari, così fragili non sono.
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