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Qualche volta, allo stadio, andateci

Giovanni Francesio

Dalla retorica attorno ai buuu razzisti verso Koulibaly ai fraintendimenti sugli ultras

Può essere utile, andare qualche volta allo stadio, perché poi capita, come la settimana scorsa, che tocchi scriverne, o parlarne, e si rischiano paragoni sgangherati e/o “analisi” imbarazzanti.

 

Anche in questa occasione Repubblica ha spiccato sulla concorrenza, scrivendo che “Koulibaly è l’eroe gemello di Mimmo Lucano”, e che “il buu razzista è il medesimo”. Di quali “buu razzisti” sia stato fatto oggetto Mimmo Lucano, non sapremmo dire, ma a Repubblica li avranno sentiti. E nemmeno sapremmo dire cosa c’entri Koulibaly col tema dell’accoglienza. Ma è di sicuro un nostro limite.

 

Altra cosa che non riusciamo bene a capire è cosa si intende quando si parla di “ultras”, e negli ultimi giorni se ne è parlato spesso: si intendono gli aderenti ai gruppi? Perché se è così, davvero stiamo parlando di qualche migliaio di persone in tutta Italia, quasi tutte note sia alle forze dell’ordine sia ai vertici delle società, e facilmente controllabili e circoscrivibili (certo, costa qualcosa in popolarità e in quieto vivere, ma è una battaglia che ha combattuto e vinto Lotito, potrebbero farlo anche gli altri). Ma chi, ogni tanto, si avventura in uno stadio, sa bene che non è così, perché nei fatti, negli stadi, gli ultras (quasi nessuno deliberatamente violento, quasi tutti potenzialmente violenti, almeno verbalmente) sono molti di più dei “militanti”: anche per contare gli ultras, come per i “buu”, bisogna ricordarsi che lo stadio è un universo chiuso, che la partita, con i suoi riti, esclude tutto il resto, e quello che succede dentro lo stadio non si può analizzare con i criteri di fuori. Tutto cambia, in quel microcosmo: le persone, i gesti, le parole, i significati, i confini. Può non piacere, ma è così.

 

Noi, che invece allo stadio ci siamo andati anche troppo, adesso che si sta abbassando la cortina polverosa di demagogia e frasi fatte alzatasi dopo il 26 dicembre, proviamo sommessamente a ripetere: per quello che succede fuori dagli stadi, serve il codice penale, mentre dentro gli stadi servono poche regole, chiare, da applicare con rigore, spendendo quel che c’è da spendere in controlli e sicurezza. E se tra queste regole c’è il divieto di fare “buu” ai giocatori di colore, si sospendano le partite. Se non lo si fa, meglio dire che si può fare “buu” a chi si vuole e piantarla con la retorica.

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