Sir Bradley Wiggins (foto LaPresse)

Il ciclismo secondo Wiggins

Paolo Bozzuto

L’ultimo esemplare dei corridori britannici old school e la new wave della bici nel Regno unito. Leggere Icons per capire chi è il primo inglese ad aver vinto il Tour de France

Il nuovo millennio ha portato un cambio di paradigma nel mondo del ciclismo: il tradizionale dominio agonistico della vecchia Europa (Francia, Italia, Belgio e Spagna) è stato soppiantato dalla new wave anglosassone. È da quel contesto culturale che oggi provengono i nuovi vincenti del pedale e i libri più interessanti sul ciclismo.

 

Il più recente tra questi è “Icons” di Sir Bradley Wiggins, scritto con la fondamentale collaborazione di Herbie Sykes e pubblicato dalla casa editrice HarperCollins: è uscito nelle librerie inglesi – e ovunque in formato digitale – il primo novembre.

 

Bradley Wiggins, è “Wiggo”, è il primo corridore britannico ad aver vinto il Tour de France (2012), è l’attuale detentore del record dell’ora, è uno dei più grandi campioni della storia del ciclismo su pista (5 medaglie d’oro, una d’argento e due di bronzo alle Olimpiadi, oltre a una sequenza impressionante di medaglie e piazzamenti ai Mondiali). Successi che gli sono valsi il titolo nobiliare di “Sir”, conferitogli dalla regina per meriti sportivi. Sir Wiggo si è ritirato dall’attività agonistica nel 2016. Oggi è una superstar mediatica e in Inghilterra gode di una popolarità comparabile a quella dei più celebri calciatori.

 

Wiggins è l’ultimo esemplare dei corridori inglese old school: l’ultimo a essersi formato come atleta prima della creazione della fenomenale Academy federale della British Cycling all’inizio del nuovo millennio; l’ultimo ad aver fatto la gavetta sportiva secondo le dinamiche tipiche del Novecento, quando nel Regno Unito non esisteva un movimento ciclistico organizzato e bisognava trasferirsi in Francia, in Belgio o in Italia per tentare di diventare corridori professionisti. Wiggo scelse la Francia.

 

Ma è un altro aspetto della sua vita e della sua personalità a renderlo una rarità nel panorama degli sport contemporanei: è (stato) un atleta di vertice non concentrato esclusivamente sulle proprie prestazioni e sul momento storico in cui si è trovato a vivere e a competere. È divorato, fin da ragazzo, da una sincera (quasi maniacale) passione per la storia del ciclismo, oltre che dalla passione per la musica dei Beatles e per la cultura “Mod” che si sviluppò in Inghilterra negli anni Sessanta. Wiggo è un collezionista nel senso più classico del termine: reputa che alcuni oggetti materiali racchiudano lo spirito del tempo e l’essenza emotiva degli uomini che li hanno utilizzati. Nel corso degli anni ha costruito un’impressionante collezione di fotografie, maglie, biciclette e altri oggetti legati ai campioni del ciclismo della seconda metà del Novecento.

 

Proprio la sua raccolta di memorabilia costituisce il punto di partenza, nonché il supporto iconografico, di “Icons”: ventuno ritratti di grandi (e meno celebri) corridori che hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione dell’immaginario ciclistico del giovane Wiggo e nell’evoluzione della sua carriera. Un numero non casuale: 21, come le tappe che usualmente caratterizzano i grandi giri. Una sorta di personalissimo Pantheon in cui i nomi dei corridori divengono il titolo dei diversi capitoli del volume. La sequenza proposta dall’indice, legata ai ricordi e alle riflessioni sulla propria vita nel ciclismo e per il ciclismo, e non a un ordine banalmente cronologico, è questa: Johan Museeuw, Franco Ballerini, Chris Lillywhite, Miguel Induráin, Sean Yates, Eddy Merckx (autore delle prefazione del volume), Patrick Sercu, Tom Simpson, Barry Hoban, Phil Edwards, Francesco Moser, Gianni Bugno, Lance Armstrong, Jacques Anquetil, Gastone Nencini, Felice Gimondi, José Manuel Fuente, Luis Ocaña, Hugo Koblet, Fabian Cancellara e, infine, Fausto Coppi.

 

Icone, appunto, ma non “figurine” giustapposte. Ogni capitolo si sviluppa e si lega agli altri attraverso il racconto e l’argomentazione delle ragioni per cui questi atleti sono nel tempo divenuti, fonte di ispirazione, motivazione e – in qualche modo – ossessione (come recita il sottotitolo del volume).

 

“Icons” è un viaggio sentimentale nella storia e nella memoria: “A love letter to cycling”, come lo stesso Wiggo ripete più volte tra le pagine. Un libro semplice, piacevole, molto ben costruito e interessante perché contiene alcune riflessioni non ordinarie sul ciclismo, mai sottomesse alla banalità dell’aneddotica sportiva. È un tributo alla tradizione del grande ciclismo italiano e francese, ma anche alla storia “minore” e un po’ romantica del ciclismo britannico che fu, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del Novecento. “Icons” costituisce un ideale ponte culturale tra storiografie sportive diverse, spesso poco propense a guardare oltre i confini del proprio ambito nazionale, spesso ripiegate sulla celebrazione dell’attualità o sulla riproposizione di vicende e figure storiche già familiari e note al grande pubblico di riferimento. Servivano un personaggio straordinario come Wiggo e l’usuale bravura di Herbie Sykes per tentare questa ennesima impresa.

 


 

Paolo Bozzuto, urbanista, docente al Politecnico di Milano, studia il rapporto tra il ciclismo sportivo e il territorio; sul tema ha pubblicato i volumi “Pro-cycling territory” (FrancoAngeli, 2016), “Atlante storico del ciclismo in Lombardia” (Maggioli, 2017), “I velodromi” (RCS-Il Corriere della Sera, 2018)

Di più su questi argomenti: