Alberto Contador e Fabio Aru (foto LaPresse)

Contador padrone del Giro, Landa vince, Cristina Chiabotto e l'amore per Aru

Maurizio Milani
La corsa non ritornava a Madonna di Campiglio dal 1999: fu l'ultima vittoria di Marco Pantani in Italia. Nel primo arrivo in salita alpino lo spagnolo controlla il gruppo dei migliori, li lascia sfogare, concede la vittoria al connazionale. Il sardo ci prova, ma non stacca gli avversari, rimane secondo in classifica.

La tappa: Marostica-Madonna di Campiglio, 165 km - Mikel Landa a braccia alzate sotto il traguardo di Madonna di Campiglio, alle sue spalle il russo Trofimov, dietro a loro due la lotta per la maglia rosa. Alberto Contador, padrone, controllore, primattore. Fabio Aru il rivale, il futuro, forse, il presente, ma battuto. Lo spagnolo nella morsa dei due Astana, ma è morsa molle, che non stringe, a condurre il ballo è lui, il primo in classifica. Gli altri ci provano, scattano, controscattano, si battono, con coraggio, determinazione, quanto basta per avere l'onore delle armi. Quello e una vittoria di tappa, la seconda a questo Giro, la prima per Landa, che corre non come gregario, ma come secondo capitano. Contador sembra quasi assecondare gli avversari, accompagnarli, più padre che padrone, guarda Aru come fosse un figlio, lo conduce, quasi a dirgli guarda questa maglia, un giorno sarà tua, ma non ora, non quest'anno. Gli altri dietro, lontani, staccati. Il Giro è roba loro.

 

L'Astana controlla, si mette davanti, fa la corsa. La fuga prende spazio, ma non ingrana, rimane davanti a bagnomaria, arranca. Giovanni Visconti e compagnia sono coraggiosi, il siciliano punta al colpaccio, alla vittoria di tappa, ma sul Monte Daone, i gregari di Fabio Aru fanno corsa dura, recuperano sugli avanguardisti, disperdono le esigue ambizioni di podio di Rigoberto Uran, che si scioglie, fatica, si stacca, scompare. Con lui in tanti e ai piedi dell'ascesa finale sono in 19, gli ultimi, i più tosti. Sono le Alpi, bellezza. Il tempo dei primi verdetti definitivi.

 

L’altro Giro di Maurizio Milani


Ieri Cristina Chiabotto era tra il pubblico all’arrivo della cronometro di Valdobbiadene. Appena è arrivata la maglia rosa Fabio Aru, ha urlato al sardo: “Ti amo”. Lui si è fermato, l’ha salutata e le ha detto che per il momento non se la sente di impegnarsi sentimentalmente. Vuole concentrarsi sulla sua carriera anche perché tutta l’economia della Sardegna e non solo dipende dalla vendita delle sue magliette e non può permettersi di smettere di vincere. Le ha detto: “Se vuoi Cristina, urlami ti amo alla Parigi-Nizza del 2029. Forse, anche sicuramente mi fermerò e deciderò per l’amore invece che per il lavoro”.


 

 

Amarcord – Quando il 5 giugno del 1999, alle 10 e qualche minuto del mattino, viene ufficializzata la squalifica dal Giro di Marco Pantani per ematocrito oltre i limiti, Madonna di Campiglio e tutta la corsa si ammutolisce. E’ quel giorno e a quell’ora che il Pirata inizia a sprofondare nella sua fine, che il ciclismo perde il suo campione, lo scalatore più forte degli anni Novanta, forse della storia, l’uomo al quale si era appigliato per dimenticare il momento più nero, lo scandalo Festina, quel Tour de France 1998 che rivelò il doping di squadra, l’Epo per tutti. Pantani vince quel Tour, lo salva nella tappa Grenoble-Les Deux Alpes, con quello scatto ai 4,5 chilometri dalla vetta del Galibier e a 50 dal traguardo, sotto un cielo plumbeo di pioggia e freddo, invernale, un lungo assolo ascensionale, che annichilisce la maglia gialla Jan Ullrich, sotterrandolo sotto 8’59” di distacco.

 

 

[**Video_box_2**]Pantani stava dominando anche quel Giro. Un tracciato duro, pieno di salite, disegnato per lui, per esaltarne la capacità di volare quando la strada sale, che lui aveva esaltato, reso spettacolare. Una superiorità che si palesa alla seconda occasione, sulle rampe del Gran Sasso d’Italia, Campo Imperatore. Appennino dalle vette alpine, 2.100 metri d’altitudine, 31 chilometri con il naso all’insù, nel freddo di un pomeriggio che di primaverile ha solo la data, in mezzo alla neve. Successo, solitario, e maglia rosa. La perde subito, a cronometro, ad Ancona. La ritrova a Borgo San Dalmazzo, dopo aver sfibrato la resistenza del gruppo scatto dopo scatto sui 2.511 metri del Colle Fauniera.

 

Il capolavoro il giorno dopo. Il palcoscenico i 13 chilometri che portano al Santuario della Madonna Nera di Oropa. Gruppo in fila, tirato dalla Mercatone Uno, la maglia rosa in coda ai suoi gregari. La salita inizia, Marco ha un problema meccanico, la catena esce dal rapporto, si blocca, il Pirata si ferma, sistema, gli altri no, non aspettano, accelerano, la bagarre inizia. I gregari di Marco rallentano, lo attendono, lo aiutano per quanto possono. Jalabert scatta, Gotti lo segue, i primi davanti, uno dopo l’altro, chi resiste, chi si stacca. E’ corsa vera, dura, veloce. Pantani ha un ghigno furioso, denti stretti, faccia tirata, ma non è la fatica. E’ dietro, molto, oltre un minuto, vede sfiorire la sua maglia, non si da per vinto, mette nei pedali rabbia e frustrazione, recupera uno a uno gli uomini del gruppo, a velocità pazzesca, recupera secondi, minuti, scala, ascende, si fa sotto ai primi, li raggiunge, attacca subito, li stacca, vince, in maglia rosa.

 

 

Non gli basta, è affamato, vuole cancellare anni di cadute e sfortuna, dimostrare di essere il migliore. Sull’Alpe di Pampeago il 3 giugno, il Pirata vince ancora. Si ripete il giorno dopo, il 4 giugno, a Madonna di Campiglio. Sempre da solo, come si confà ai grandi, ai più forti. Quel 4 giugno è venerdì, alla fine del Giro mancano due tappe, l’indomani il tappone con Tonale, Gavia, Mortirolo, Aprica e Santa Cristina. Tutto è deciso però. Marco ha oltre 5 minuti e mezzo sul secondo, oltre 6 sul terzo. La sua supremazia in salita è imbarazzante. Niente può togliere a Pantani il secondi Giro consecutivo.

 

 

Ma quando il 5 giugno del 1999, alle 10 e qualche minuto del mattino, veniva ufficializzata la squalifica dal Giro di Marco Pantani, si capisce che l’impossibile si è avverato. Il Giro riparte senza maglia rosa, Paolo Savoldelli non la vuole, non gli appartiene, dice. Marco esce dall’albergo Touring quando il gruppo è già partito. Ha il viso assente, ha lo sguardo spento: “Sono già stato controllato due volte con la maglia rosa. Avevo 46 di ematocrito. Oggi mi sono svegliato con una sorpresa. Credo che ci sia qualcosa di strano…Ho avuto molti incidenti, sono sempre ripartito, ma questa volta non mi rialzerò”. Non si rialzerà Marco. Al Giro tornerà negli anni successivi, ma in gruppo c’è solo la sua controfigura, al Tour nel 2000, vincerà due tappe, sul Mont Ventoux e a Courchevel. Non ritornerà più.