Aru conquista il Sestriere, Contador soffre ma il Giro è suo. Esclusivo: ecco cos'è la maglia di ferro

Giovanni Battistuzzi

Il sardo dell'Astana raddoppia e dopo Cervinia conquista la seconda vittoria di tappa. Sulla Cima Coppi, il Colle delle finestre, la maglia rosa va in crisi, perde un minuto, ma si difende sulla salita finale e mantiene oltre due minuti di vantaggio sul secondo. Il Sestriere della Cuneo-Pinerolo di Fausto Coppi e Franco Bitossi.

La tappa: Saint Vincent-Sestriere, 199 km – Furia e rasoio, rincorsa e assolo. Fabio Aru raddoppia, urlo e pugni al cielo, oggi come ieri, Sestriere come Cervinia, vittoria, sigillo, come se sopra i duemila metri fosse proprietà privata, terra sarda. L’allungo ai 1.600 metri dal traguardo, la maglia bianca da sola, davanti, dopo una tappa a inseguire, prima la fuga quotidiana, poi il suo scudiero più forte, Landa, il sorpasso al momento giusto. Successo di forza, certo, ma soprattutto di testa, di resistenza: Aru sul Colle delle Finestre fatica, stringe i denti, poi appena vede un Contador umano si riprende, recupera, riagguanta il gruppetto, con loro riagguanta Landa, partito per primo, per primo a mettere in crisi la maglia rosa, che dopo il suo scatto si ferma, si blocca, arretra. Landa ci prova da solo, ma da solo non va, non prende terreno, Hesjedal, Uran e Kruijswijk recuperano, Aru rincorre con loro, lo spagnolo allora si lascia inghiottire, lavora per il sardo, lo lancia, quinto al traguardo, terzo in classifica.

 

La partenza è in discesa, Saint Vincent, Valle d’Aosta, poi il Piemonte padano, la risalita, dalla larga pianura alla valle che si ristringe, prima, si trasforma in montagna, poi, che sale, diventa serpentone d’asfalto, un lungo susseguirsi di tornanti, di strada che si inerpica, dura, regolare, maligna. Boschi che accolgono e accompagnano, la fuga evapora, Illnur Zakarin che prova a resistere al ritorno del gruppo guidato dall’azzurro Astana. Boschi che coprono e celano, scatti e fatica, stambecchi da scalate e cagnacci segugi. Boschi che si aprono, scompaiono, diventano anfiteatro, l’asfalto che diventa polvere e ghiaia, gli alberi arbusti, poi prati e in cima gli indiani, tifosi arroccati sulla cresta del monte, lo spettacolo della natura come sfondo, quella delle bici là sotto. Ascesa, elevazione, il cielo vicino come non mai, il punto più alto del Giro, 2.178 metri, la Cima Coppi. Lì Mikel Landa attacca, va via, si invola; lì Alberto Contador, si stacca, soffre, patisce. Via crucis di un Pistolero, quattro chilometri di passione, staccato da tutti, ma è resa momentanea, di chi sa che ha tutto da perdere, ma la classe per capire che nulla è perso. Non rischia, non dispera, gestisce, discende, lotta, da solo, una cronometro verso il Sestriere, verso la rosa finale, la vittoria definitiva. Chapeau.

 

 

L’altro Giro di Maurizio Milani


 

Dispiace dirlo, ma adesso lo si può fare perché è la penultima tappa. Per la prima volta quest’anno l’Unione ciclistica internazionale ha istituito la Maglia di ferro che ha debuttato al Giro d’Italia. Si tratta di un manufatto da indossare sotto la maglia ufficiale, una vera e propria corazza dal peso di 15 chili. Essendo un nuovo materiale ha poco volume però pesa molto e viene messa, in segreto, a chi è il superfavorito all’inizio della corsa. Questo serve per equilibrare un po’ la competizione. Quest’anno la maglia di ferro ce l’aveva Alberto Contador. Nonostante questo impedimento lo spagnolo ha dimostrato di essere il più forte, figuriamoci se non aveva il maglione di ferro cosa poteva fare. Domanda ai lettori del Foglio: “Siete favorevoli a estendere la maglia di ferro a tutte le gare? O torniamo come prima?”. Per favore non rispondete. Ieri infatti il sito del Foglio dopo che è stata messa online la domanda si è spaccato in due. Mai nella storia del web è successa una cosa del genere. Il problema è questo: il sito del Foglio può contenere 120 mila ingressi al secondo. Ieri le visite sono state cento volte superiori alla portata massima, per cui si è spaccato in due. Di riflesso si è spaccato il tubo dell’acqua della mia casa in montagna. Sono contento. Così finalmente mi decido a cambiarlo. Si vedeva che si stava rompendo da un anno, ma ho sempre rimandato perché così ora mi posso lamentare e dare a colpa a qualcun altro, ai lettori del Foglio.


 

 

Amarcord – Il Piemonte è termine e cominciamento, penultima e ultima tappa, arrivo e partenza. Così nel 1909, primo Giro d’Italia, Genova-Torino, Torino-Milano. E’ poi debutto, la prima grande salita, il primo duemila toccato, Sestriere, due anni dopo, Mondovì-Torino, 302 chilometri. E’ storia, prima del Giro, prima di tutto, 1876, Milano-Torino, non tappa ma classica, corsa di un giorno, la più antica di sempre (almeno di quelle a noi giunte). E’ soprattutto leggenda, mito, impresa. E’ il 1949, è Giro, è assolo, è epica, volo, è una frase soltanto: “Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi”, quella che pronunciò Mario Ferretti all’inizio della sua radiocronaca. E’ la terzultima tappa, la Cuneo-Pinerolo, 254 chilometri e cinque valichi alpini, Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, una litania, tanta polvere e poco asfalto. C’è il sole che va e che viene, la pioggia che scende e si ritrae, c’è Primo Volpi che per primo attacca che ancora è inizio tappa, il Colle della Maddalena, c’è Adolfo Leoni in maglia rosa, c’è Gino Bartali che all’inizio non carbura, lo sanno tutti, è poi che diventa letale, c’è Fausto Coppi che chiede a Volpi di attaccare, che si ferma per un problema alla catena, c’è Sandrino Carrea, che è gregario fidato, che lo aiuta, c’è ancora Coppi, che è Airone, e dopo quel giorno sicuramente Campionissimo, che recupera, che si mette davanti, che attacca a suo modo, facendo ritmo, insostenibile, che rimane solo, che corre da solo, che lo fa per 192 chilometri, che a Pinerolo arriva 11 minuti e 52 secondi prima di Ginettaccio, secondo, e 19 minuti e 45 secondi prima di Alfredo Martini, terzo. Un volo solitario, l’impresa più incredibile al Giro, la tappa più amata, divenuta mitica, divenuta antonomasia.

 

Uno spettacolo che il Giro ripropose altre due volte e mezza, nel 1964, nel 1982 e nel 2009, ma con il tracciato stravolto dalla neve. L’assolo di Coppi inavvicinabile, impresa, come quella di Franco Bitossi quindici anni dopo, ma non dominio, un turbinio di colpi di scena, immagine stessa del corridore toscano. Franco è atleta di razza, veloce ma non velocista, forte in salita ma non scalatore, 171 vittorie in carriera, 21 al Giro, un duro, ma dal cuore matto, Cuore matto, per via di un’aritmia che diventava tachicardia e lo costringeva, ogni tanto, a sedersi su un muretto o un paracarro, a rilassarsi, a farsela passare, a guardare gli altri passare, la vittoria svanire. Bitossi, altalena di atleta, capace di tutto, di attaccare, soffrire, andare in crisi, riprendersi, vincere quando ormai sembra tagliato fuori, perdere quando ormai sembra vincitore. Nella Cuneo-Pinerolo del 1964, la sua vittoria (forse) più bella. Sulla Maddalena, fatica, si stacca, sembra fuori dai giochi, in discesa recupera, sul Vars si riprende, sull’Izoard attacca, fa il vuoto, guadagna minuti, sul Monginevro ne ha quasi 10 di vantaggio, sul Sestriere va in crisi di fame, non va, la sua pedalata è stanca, sfinita, finita, perde oltre sei minuti, si attacca al cibo, agli zuccheri, gronda, sbanda, arriva in cima, si riprende, torna a mulinare il rapportone in discesa, tiene gli inseguitori a debita distanza, vince: due minuti dopo arrivano i migliori della classifica regolati da Vittorio Adorni allo sprint. Si veste di verde per la prima volta in carriera, re degli scalatori, lui che scalatore non è, lui che non è niente, lui che è tutto, il ciclismo, cuore e incoscienza, vittorie e disfatte, lampi di classe e imprese impossibili.