Fabio Aru vince sul traguardo di Cervinia (foto LaPresse)

Aru batte tutti, Contador sempre in rosa. Al Giro ci sarà una tappa dell'amore

Giovanni Battistuzzi

A Cervinia il sardo dell'Astana vince da solo dopo un attacco a cinque dall'arrivo e riconquista il secondo posto nella generale. Alle sue spalle arriva Ryder Hesjedal. Visconti all'attacco da solo per 50 chilometri. Il Giro (d'Europa) del 1973 e l'impresa di Eddy Merckx

La tappa: Gravellona Toce – Cervinia, 170 km – Un urlo, braccia alzate, pugni al cielo. L’immagine. Uno scatto, ripreso, poi un altro, via, quello buono, sui pedali. La sostanza. Fabio Aru. Il nome. Vittoria, la prima a questo Giro, la seconda al Giro, in salita, perché questo è il terreno giusto, quello buono per far numeri, differenza, spettacolo. Fabio Aru si riprende quello che Mortirolo e stampa gli avevano tolto, vittoria e secondo posto, dietro ad Alberto Contador, oggi spettatore, che tanto il primo posto e tranquillo, l’attrito è con Landa, la stima con il sardo, avversario sicuramente, ma figliolo, quasi erede disegnato. In mezzo Ryder Hesjedal, secondo, che attacca ancora, che sfiora la vittoria, che cede ad Aru, che riceve applausi, giusti, quantomeno per gli attacchi alpini dopo le dormite appenniniche.

 

Tra Piemonte e Valle d’Aosta, oltre quattromila metri di dislivello, il primo duemila toccato, un metro sopra, Breuil Cervinia, arrivo. Prima altre due salite, San Barthélemy, Col Saint-Pantaléon, lunghe, regolari, alpine. Gli ultimi ottanta chilometri un su e giù continuo, senza sosta. Strade aperte dalla fuga, a nove, controllate dal gruppo, Astana in testa, gli altri dietro a faticare. Il divario che diminuisce, Giovanni Visconti a tentare da solo, a provare l’impresa, folle, forse, azzardato, probabilmente, coraggioso, sicuramente, buono per conquistare la maglia blu, che fu verde, roba da scalatori, da Bartali e Pantani, da storia vera, nonostante tutto.

 

L’altro Giro di Maurizio Milani


 

Ieri ho visto la più bella tappa del Giro della storia, o almeno di quelle che ho seguito in tv. Tenete conto che non perdo una tappa del Giro d’Italia dal 1979 (ben 751 tappe; le so tutte a memoria o meglio so località di partenza e di arrivo). Ieri Giovanni Battistuzzi non ci credeva e al telefono mi fa: “Dimmi la quarta tappa del Giro del 1991”. Io: “Teramo-Ancona, vinta da Gianni Bugno”. Ieri la tappa è stata fantastica Contador e Gilbert ci hanno fatto sognare; insieme a Hesjedal (il più bravo). A questo punto mi permetto di chiedere a chi organizza il Giro, perché non fate una tappa Venezia-Verona? Ovviamente senza avvertire i corridori prima, glielo si dice la mattina setta alla partenza. Il motivo? Venezia e Verona sono le città più romantiche del pianeta e tanti innamorati potrebbero darsi appuntamento lungo il percorso per dirsi “ti amo”. Dispiace solo per i proprietari di casa sul tragitto che si trovano sui muri le scritte “Paola ti amo”, “Amore, amore, voglio baciarti” ecc.

 


 

 

Amarcord – Il Giro, l’Europa, il sogno. Quello di Vincenzo Torriani, patron del Giro d’Italia dal 1949 al 1993. L’Europa, ossia Giro di, anzi Tour d’Europe, francese, lingua del ciclismo, una sola corsa per unire l’intero continente. Idea nata in tempo di guerra, 1944, quando Torriani è in Svizzera e lì si innamora del federalismo, del modello elvetico di convivenza tra popoli. Idea che si sviluppa negli anni Cinquanta, che diventa realtà nel 1954, due anni dopo della creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca): partenza da Parigi e arrivo a Strasburgo e sedi di tappa in Belgio, Olanda, Germania, Svizzera, Lussemburgo e Austria, un centinaio di iscritti, vittoria a Primo Volpi. Due anni dopo la replica nell’indifferenza della stampa, il progetto naufraga, ma Torriani non s’arrende. Pensa, pianifica, crea. Se è impossibile organizzare qualcosa a livello internazionale “esporterò il Giro”, dice. Nel 1966 il primo test, partenza dal Principato di Monaco, nel 1973 il compimento del progetto: si parte dal Belgio, Verviers, cronometro a coppie, poi Colonia, Lussemburgo, Strasburgo, Ginevra, rientro ad Aosta.

 

[**Video_box_2**]La Valle d’Aosta che oggi ha accolto la corsa rosa, fu palcoscenico del rientro dei girini di allora, teatro dell’Eddy Merckx più spietato. Il belga l’anno precedente aveva vinto tanto, al solito, ma aveva chiuso con una Mondiale perso, quarto. Un Mondiale che sapeva di poter vincere, che ormai aveva pregustato. Invece la beffa, in corsa, gli sberleffi, sulla stampa. Merckx non parla, preferisce i fatti. Li mette in strada l’anno dopo: Trofeo Laigueglia, prima gara stagionale, vince; Giro di Sardegna, seconda gara stagionale, vince; campionati belgi in pista, Americana, vince. La Milano-Sanremo no, non partecipa, tonsillite. Al Fiandre è terzo, ma soffre ancora dei postumi della malattia. Poi infila Gand-Wevelgem, Amstel Gold Race, Parigi-Roubaix e Liegi-Bastogne-Liegi. A fine aprile corre per la prima volta in carriera la Vuelta: sei vittorie e classifica generale. Il 18 maggio è al via del Giro, Verviers, cronocoppie, con lui Roger Swerts: un’altra vittoria, maglia rosa. Non l’abbandonerà più, primo atleta a portarla dal primo all’ultimo giorno (prima di lui solo Girardengo e Binda riuscirono a vincere un Giro dopo avere occupato la prima posizione in classifica dal primo all’ultimo giorno, ma la maglia rosa ancora non c’era).

 

Maglia rosa in Belgio, due vittorie in quattro tappe fuori confine. Pianura, tanta, strappi al massimo. Le montagne, presto, al rientro in Italia: 5a tappa: Ginevra-Aosta, 163 chilometri, in mezzo il tunnel del Monte Bianco, e il Colle San Carlo da La Thuile a Morgex. Sull’ultima salita José Manuel Fuente scatta. Lo spagnolo è scalatore sopraffino, il suo allungo un’iradidio, fulminante. Lascia tutti sui pedali, Merckx non lo segue sa che seguire lo spagnolo è impossibile, che le sue rasoiate fanno male, va del suo passo, controlla, perde trenta secondi, poi nulla più. Quello che rimane del gruppo, una decina di uomini, procede forte e regolare, a due chilometri dalla vetta hanno circa un minuto di distacco. E’ lì che Merckx si alza sui pedali e accelera, lascia il gruppo, recupera, poi la catena cade, si incastra nel cambio, lui sbanda, rallenta, si ferma. Gli altri capiscono che è l’occasione giusta, attaccano. Lui aspetta l’ammiraglia, cambia bici, si rimette in sella. In cima ha oltre un minuto e mezzo su Fuente, 40 circa sui primi del gruppo, Giovanni Battaglin e Gonzalo Aja. Si butta in discesa, furente, recupera il gruppo, una volta nel falsopiano all’ingiù verso Aosta, scatta di nuovo, macina chilometri solo, si avvicina ai primi, recupera, si accoda, tira il fiato, riattacca, vince. Un secondo sui primi avversari. Mezzo minuto sugli altri. Vincerà altre tre volte. Il secondo, Felice Gimondi, a oltre sette minuti, il terzo, Giovanni Battaglin a dieci, il decimo, Gianni Motta a quasi mezzora.