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Perché sul salario minimo Pd e M5s farebbero bene a trovare un accordo con il governo

Lorenzo Borga

Il dibattito sul minimum wage potrebbe tramutarsi in un'occasione sprecata. I contorni della proposta delle opposizioni sono laschi. E il confronto con la maggioranza potrebbe servire a trovare delle soluzioni più complessive

Sul salario minimo è andato in scena uno spettacolo oggettivamente singolare nel nostro paese. Prima, l’accordo tra (quasi) tutte le forze di opposizioni su un'unica proposta di legge, nonostante la decisa competizione di Pd e Movimento 5 Stelle su un gruppo elettorale piuttosto sovrapponibile. Poi, il confronto convocato da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi venerdì scorso per dibattere la proposta, anche questo una novità per il nostro paese dove gli accordi bipartisan vengono siglati abitualmente su nomine e giochi di palazzo per scambi di potere, e non sulle policy. Una buona notizia, per la salute del dibattito pubblico e per il riconoscimento di un’emergenza – il lavoro povero – che ormai coinvolge milioni di residenti in Italia.

 

Tuttavia potrebbe tramutarsi presto in un’occasione sprecata. Sprecata perché la battaglia delle forze di opposizione per introdurre un salario minimo per legge in Italia ha senso sì dal punto di vista comunicativo (e infatti sono riuscite a dettare l’agenda al governo forse per la prima volta dalle elezioni di settembre), ma non per la soluzione del problema. L’Italia ha scelto da sempre la via della contrattazione collettiva per stabilire i minimi contrattuali dei lavoratori dipendenti. A non esserne tutelati sono sulla carta il 3 per cento, nella pratica – tra contratti non applicati regolarmente, scaduti e pirata – probabilmente il 15 per cento. Una fetta considerevole certo, ma il salario minimo per legge è solo una delle ipotesi per migliorare la condizione di questi lavoratori.

Si può rendere più efficace la normativa contro forme di precariato – false partite Iva, part-time involontario, collaborazioni continuative – che oggi condizionano il reddito degli occupati più del salario orario lordo. O si può attuare finalmente l’articolo 39 della Costituzione dando un peso alla rappresentatività dei sindacati, che non possono essere tutti uguali all’atto di firma dei contratti collettivi (che al Cnel hanno ormai superato la soglia dei 1.000!). Non è un caso d’altronde che i partiti che oggi propongono il salario minimo quando avevano la maggioranza in Parlamento non hanno fatto passare la proposta. Evidentemente anche allora il minimum wage era considerata solo una delle opportunità sul tavolo, senza l’urgenza che oggi li muove.

 

Scegliere la via del salario minimo unico per legge è una strada, percorribile certo, ma più complessa. Ci si attenderebbe dunque che le forze di opposizione siano almeno chiare nella loro proposta. E invece, come osservato da diversi esperti, nel ddl non è chiaro se i 9 euro lordi l’ora rappresentino solo il minimo tabellare (e siano quindi esclusi il Tfr e la tredicesima) oppure se valgano per l’intero salario, mensilità aggiuntive e trattamento di fine rapporto inclusi. Un’ambiguità che fa tutta la differenza del mondo: nel primo caso, secondo un’audizione dell’Inps, sarebbero 4,6 milioni i lavoratori dipendenti coinvolti (uno su quattro, un’enormità), nel secondo meno di 2. I firmatari della proposta di legge sostengono a voce nelle interviste che la prima interpretazione – quella più ambiziosa – sia quella corretta. Tuttavia in questo caso, se il salario minimo così come è stato proposto diventasse legge domani, diventerebbe in un colpo solo il più alto di quasi tutta l’area Ocse. 9 euro lordi l’ora equivalgono infatti a oltre il 70 per cento del reddito mediano, quando l’Ue consiglia di non superare la soglia del 60, e infatti Germania e Spagna non superano questa cifra. Peraltro la soglia minima avrebbe lo stesso difetto che oggi caratterizza i contratti collettivi: sarebbe un unico riferimento per tutto il territorio nazionale, nonostante il costo della vita cambi drasticamente da Nord a Sud.

 

Ecco perché le forze di opposizione dovrebbero accettare il compromesso che Giorgia Meloni potrebbe offrire. Ed essere pronti a trovare altre strade per sconfiggere il lavoro povero e alzare i salari reali di milioni di persone che oggi faticano a restare a galla. Per di più dopo l’avventata sospensione del reddito di cittadinanza per decine di migliaia di persone (se non centinaia) che un lavoro lo hanno ma non sufficiente per garantire un reddito oltre la soglia di povertà. Essere riusciti a dettare l’agenda al governo può già essere considerato un grande successo per Pd, 5 Stelle & company, non gettate al vento l’opportunità di cambiare davvero le cose per qualche polemica e titolo di giornale in più.