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Btp Valore: rischi, costi e benefici (dubbi) di un debito pubblico prevalentemente nelle tasche degli italiani

Lorenzo Borga

Con la terza emissione di titoli di stato il governo ha raccolto 18,3 miliardi di euro dai risparmiatori italiani per finanziare la spesa pubblica. Ma questo attestato di fiducia dei cittadini ha un costo per lo stato che non può essere considerato irrilevante

La terza emissione del Btp Valore è stata un successo. Il governo ha raccolto 18,3 miliardi di euro dai risparmiatori italiani per finanziare la spesa pubblica. Un attestato di fiducia che è un sospiro di sollievo per i contribuenti di uno stato che ha accumulato oltre 2.800 miliardi di euro di debito pubblico. Ma l’attestato di fiducia non è arrivato gratis per le casse del ministero dell’Economia.

Per convincere i risparmiatori italiani a prestare i propri soldi allo stato fino al 2030 il Dipartimento del Tesoro ha scelto di aggiungere un premio al rendimento garantito dal Btp Valore. Questo buono del Tesoro dedicato ai soli clienti retail nazionali infatti è stato offerto a un tasso superiore a quello del corrispondente Btp a uguale scadenza di circa tre decimali (3,3 netto annuo rispetto al 3 per cento), che equivale a un non insignificante decimo in più. Per i volumi acquistati significa un esborso di interessi per lo stato di quasi 55 milioni di euro in più all’anno. Alla scadenza del 2030 la somma arriverà a 329 milioni, pagati in più dal Mef per piazzare il Btp Valore. Tenendo conto delle altre due emissioni di questo buono del Tesoro dedicato alla clientela retail – arrivate rispettivamente a 18,2 e 17,2 miliardi di euro – il conto per lo stato sale a quasi 600 milioni spalmato tra l’anno scorso e il 2030. Una cifra che annichilisce di fronte al peso degli interessi passivi pagati dall’Italia ogni anno sul proprio debito, ma che non può essere considerata irrilevante proprio per via della delicata condizione dei conti pubblici italiani. Si rischia un autogol come quello avvenuto, nel silenzio generale, nel 2022 quando le cedole del Btp Italia – indicizzate all’inflazione – fecero impennare la spesa pubblica per interessi.

A questo punto viene da chiedersi in cambio di cosa lo stato ha deciso di offrire tale premio sul rendimento agli investitori in Btp Valore. La strategia del governo l’ha esplicitata niente meno che la presidente del Consiglio: “Vogliamo riportare il debito pubblico italiano il più possibile nelle mani degli italiani” ha detto Meloni, aggiungendo che questo significherebbe “essere più padroni del nostro destino perché quando il debito pubblico è nelle tue mani sei meno sottoposto alle pressioni esterne”. Il presupposto del governo pare dunque essere che gli investitori italiani sarebbero più benevoli nei confronti del debitore Italia rispetto a chi ci presta i soldi dall’estero. Tutto da dimostrare, ma garantendo a Meloni il beneficio del dubbio, le ragioni possono essere due: o gli italiani sono disposti a tollerare un maggior rischio di insolvenza da parte dello stato, senza quindi preoccuparsi troppo per la spensieratezza fiscale con cui i governi italiani gestiscono i conti pubblici, o sono semplicemente meno informati rispetto agli investitori stranieri, spesso istituzionali e dunque gestiti da professionisti che quotidianamente seguono e condizionano i mercati finanziari. In entrambi i casi significherebbe addossare maggiori rischi nei confronti delle famiglie italiane, consapevoli o meno (ma d’altronde che vadano in crociera e si rilassino, come sembra suggerire lo spot del governo). Sempre che il giochino funzioni e gli italiani siano disposti ad accettare di rischiare di perdere i propri soldi – e dunque non vendano i Btp, evitando così un rialzo di rendimenti e spread - di fronte a eventuali aumenti del deficit e/o attacchi speculativi nei confronti del nostro paese. La triste realtà inoltre è che gli investitori internazionali assolvono meglio al ruolo di guardiani del debito, pronti a punire scelte sconsiderate della politica nazionale (ricordate il governo gialloverde? Ecco).

Già oggi d’altronde, secondo i dati Eurostat, l’Italia è tra i primi stati in Unione Europea per debito pubblico detenuto dalle famiglie. E non si venga a dire che in questo modo gli interessi pagati dallo stato rimangono all’interno dei confini patri. Sarebbe come augurarsi che le tasse pagate da tutti i contribuenti, anche quelli meno benestanti, vadano a finanziare le cedole incassate da chi ha investito (che verosimilmente ha redditi e patrimoni più alti della media). Una redistribuzione al contrario.

Chiariamoci: piazzare il debito pubblico, anche armandosi di ingegno e metodi meno convenzionali, è uno dei compiti dello stato. Anche per sopperire all’immobilismo della Bce che contro l’inflazione ha stoppato ogni acquisto di bond governativi. Ma senza italianizzare il debito a ogni costo, regalando mezzo miliardo di extra-rendimenti e associando gli investimenti finanziari al gioco d’azzardo. Un debito pubblico prevalentemente nelle tasche degli italiani comporterebbe costi certi, benefici dubbi, rischi allarmanti.

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