(foto di Mika Baumeister su Unsplash)

bruciare la cultura delle relazioni

Cosa può fare lo stato sui femminicidi, senza fronzoli

Raffaella Silvestri

Blandire e coinvolgere gli uomini con le buone non funzionerà. Occorrono corsi obbligatori sul vivere civile

Quando c’è stata la pandemia, abbiamo chiamato il generale Figliuolo, abbiamo preso fiere e palazzi, e organizzato una campagna vaccinale di massa. Anche questa è un’emergenza, e richiede le sue misure radicali. Prima fase: la norma sociale. “Non si fa” perché il comportamento è severamente normato: dalla giurisprudenza ma anche dai pari. Non dire quella stronzata misogina. Non ridere a quella battuta. Non giustificare il povero sfigato che fa il passivo aggressivo con la fidanzata. Non lo impareranno spontaneamente, ci vogliono campi di recupero. A scuola, perché la famiglia è proprio l’ambiente in cui la cultura patriarcale si riproduce. A scuola, perché da sempre la scuola è un sano antidoto alla famiglia.

 

Seconda fase: la presa di coscienza effettiva da parte degli uomini, della loro interiorità, delle loro convinzioni inconsce e delle loro limitazioni (di cui fanno le spese le donne). Negli ultimi settant’anni non c’è stata una riflessione sul maschile, e rendere sessualmente “fluidi” i protagonisti di romanzi e serie tv non li ha resi meno misogini, machisti e monolitici. Anche il più illuminato dei nostri compagni e amici resta un monolite di misoginia e cultura machista. Non so gli uomini che conoscete voi, ma quelli che conosco io non si auto-consegnano alle autorità dei profili femministi su Instagram, per imparare in dad che la violenza di genere ha radici nella disparità, che la cultura dello stupro si propaga attraverso il linguaggio quotidiano, attraverso tutte le chat che hanno nel telefono e a cui partecipano, attraverso la loro totale incapacità di riconoscere le proprie emozioni, la propria interiorità, la propria spinta alla violenza. Questa bella e rassicurante idea che “siamo tutti femministi” e il femminismo è per tutti ha fallito rumorosamente, e dobbiamo ripartire da qui: che così non va. Che niente cambia col sorriso, con “gli alleati”, con i princìpi simbolici, con la divulgazione amichevole rivolta a una popolazione che non vuole ascoltare. 

 

La società cambia attraverso la politica. E la politica mette in agenda il cambiamento solo se gli elettori lo problematizzano, lo rendono un tema, rompono i coglioni. Ripetere le formule senza davvero comprenderle è un retaggio della scuola italiana, che premia la rimasticazione di idee altrui e chi le esprime meglio (per studiare si “ripete”). Forse per questo ci siamo addormentate, negli ultimi anni, sugli stanchi slogan, e non abbiamo preteso – tramite scioperi e proteste ostili – quello che davvero serve: una rieducazione coatta del maschio. Blandirli e coinvolgerli con le buone non funzionerà, e non è neanche giusto aspettarsi che a svolgere questa importante funzione sociale siano i social media e le loro personalità addomesticate dall’algoritmo. Donne che predicano ma tanto gli uomini non ascoltano, non ci siano illusioni su questo: basti dire che la cultura dello stupro è vivissima tra i giovani di 18-35 anni che sui social ci vivono.

Come si impediscono i femminicidi di questo dicembre? Non si impediscono, perché non abbiamo fatto neanche uno dei passi che sono da fare. Ma il compito non cambia solo perché siamo stati pigri e svogliati, perché ci piacerebbe trovare una scorciatoia. Il compito resta lì: bruciare la cultura delle relazioni per come la conosciamo oggi. Che se ne faccia carico lo stato, e che inizi ora.