l'omicidio di Giulia Cecchettin

Lettera a Filippo, figlio di una vecchia società, che ha distrutto le speranze di tante donne

Ritanna Armeni

Perché, con l'omicidio di Giulia Cecchettin tutto quello che le donne pensavano di aver costruito nella società negli ultimi anni è andato in frantumi

Hai 22 anni, sei nato agli inizi del millennio della rivoluzione digitale, sei vissuto nell’Italia moderna dei computer e degli smartphone. Un’Italia in cui  tutto o quasi, nella vita quotidiana, può essere deciso, discusso, comunicato, controllato con un clic, con un messaggio whatsapp. Sei un figlio del Ventunesimo secolo. Un figlio dell’oggi. Che del passato probabilmente sa poco. Forse nulla. 
Sei nato che il diritto di famiglia, quello per cui madre e padre hanno la stessa potestà rispetto ai figli, c’era già da un quarto di secolo. E c’erano  già le leggi sull’aborto e sul divorzio.  C’era già e da un pezzo, la rivoluzione sessuale. E quella delle donne sembrava già vita vissuta.

Sei andato a scuola in anni in cui le tue compagne progettavano l’università, si laureavano anche in materie “maschili” e affrontavano  con grinta il mercato del lavoro. Le hai viste decidere del loro corpo, della sessualità e della maternità. Con naturalezza. Non ti sei soffermato – e perché avresti dovuto farlo? – sulla loro diversità e sulle loro fatiche. Le hai osservate mentre cercavano il proprio valore e il valore delle altre. E le hai viste riuscire anche nelle sfere alte della società. Le hai viste “essere”.

Non so se questo ti desse fastidio, credo di no, credo che non ci pensassi più di tanto. Credo che non sfiorasse neppure il tuo livello di consapevolezza. Anzi, credo, che la consapevolezza semplicemente non ci fosse. Tu non sapevi, ma se qualcuno ti avesse interrogato, probabilmente saresti stato dalla parte della storia. E la storia aveva prodotto donne intelligenti, autonome, padrone della propria vita.

Perché questo “fastidio” antico, insopprimibile,  violento, emergesse hai dovuto incontrare l’amore, Giulia. Sembrerebbe impossibile se non fosse avvenuto (e se non fosse avvenuto altre migliaia di volte) ma proprio il sentimento che la società, la letteratura, l’arte, la religione hanno più esaltato – proprio  l’amore – ti ha fatto tornare indietro agli anni in cui non eri ancora nato, ha  messo in atto la regressione, ha cancellato il progresso. Ma il tuo non era amore, si dirà,  era possesso. Eri dominato da un’ossessione che non aveva nulla a che fare con un sentimento nobile ed elevato  per una donna. Il punto è che nella società patriarcale  – ha ragione la sorella di Giulia – l’amore e il possesso si incontrano, si intrecciano, convivono. In te, giovane moderno, nato dopo l’inizio del millennio, continuavano a convivere.  E anche a te è avvenuto quel che avvenuto ad altri.  Il possesso  – quando l’amore si suppone minacciato –  è diventato violenza. E la tua modernità si è frantumata, è diventata cenere e poi  il sangue della donna che dicevi di amare.

Filippo, tu non solo hai ucciso Giulia, ma hai distrutto speranze e illusioni di tante che pensavano di aver cambiato qualcosa nel rapporto con gli uomini. Di essere state capaci di mutare non solo sé stesse (questo è avvenuto) ma anche gli uomini, soprattutto i giovani, che hanno avuto il privilegio di vivere in una società in cui le nostre battaglie, la nostra forza, avevano prodotto cambiamenti culturali, sociali, legislativi. Invece no. Tutto quello che le donne – soprattutto le donne – pensavano di aver costruito nella società è andato in  frantumi. Ci hai colpito. Ci hai fatto male. Tu non sei figlio della società che avevamo cominciato a costruire ma di quella vecchia, dominata dai padri, e dalla loro ossessiva idea di possesso.  Hai martoriato il corpo di Giulia. Hai ucciso la speranza di tante.

Non posso – non possiamo – perdonare.

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