Dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin, dopo l'ennesimo caso, sono gli uomini che devono risalire alla radice della loro violenza. Non basta più dire "io non c'entro"
C’è sempre un momento in cui le cose che si ripetono uguali da tanto tempo, quelle 120 donne ammazzate ogni anno da mariti, fidanzati, compagni ed ex – come se si trattasse di una brutta cosa che però va registrata come un fatto di natura – smettono di essere uguali e assumono un altro aspetto. In tutte le case del paese abbiamo atteso notizie su Giulia Cecchettin che è stata da subito la ragazza Giulia sulla rampa di lancio con la sua tesi pronta da discutere e la sua laurea da festeggiare. Dopo 48 ore la notizia ce l’avevamo già, chi mai si poteva fare illusioni, eppure ce le siamo fatte fino all’ultimo. Ci siamo trattenute a sperare perché sentivamo che stavolta le cose uguali non sarebbero più state uguali, sapevamo che da quel momento in poi sarebbe diventato chiaro che le risposte non si possono più pretendere da noi donne, caso del tutto unico in cui alle vittime si chiede di spiegare il comportamento del carnefice. Siamo diventate tutte esperte di quella violenza maschile – e non “di genere”, smettiamola di edulcorare – che abbiamo subito o rischiamo di subire in ogni giorno della nostra vita.
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